La crisi continua a colpire duro. E la coperta degli aiuti è sempre più corta. Così in mancanza di un intervento pubblico, sono le comunità a riorganizzarsi e a inventarsi risposte nuove a vecchi bisogni. A Rogoredo (Milano) un gruppo di famiglie è l’esempio di quello che si può fare dal basso, senza aspettare che a tirarci fuori dal tunnel sia qualcun altro: lo Stato, il Comune, la politica e via elencando. Non che queste famiglie abbiano la pretesa di dimostrare che del welfare si può fare a meno. Con il loro impegno e la loro intelligenza, piuttosto, fanno sperare in una possibilità di ripresa.
Il gruppo nasce 17 anni fa. Le famiglie si ritrovano per «condividere un cammino di fede comune», spiegano. Dunque preghiera, cene comunitarie, gite con i bambini. Poi nel 2010 la crisi economica colpisce anche loro. «A Messa, in oratorio, in parrocchia ci siamo sempre riempiti la bocca di parole impegnative: solidarietà, condivisione. E così quando qualche papà ha perso il lavoro, abbiamo pensato che fosse venuto il momento di dimostrare a noi stessi che sapevamo essere coerenti con quello che dicevamo di professare», racconta Antonio Contro. E così che le famiglie decidono di autotassarsi. Ognuna secondo le proprie possibilità versa un contributo mensile significativo ad un fondo di solidarietà che viene ridistribuito a chi ne ha bisogno sotto forma di piccolo prestito. È il modello del microcredito. Niente di nuovo. Ma le famiglie non si fermano a questo. «Gli appartenenti al gruppo, fortunatamente, nell’arco di qualche mese, si erano rimessi in piedi da soli. Abbiamo, allora, pensato che sarebbe stato bello continuare l’esperienza – spiega Antonio -. Anzi chi aveva ritrovato il lavoro, ha voluto contribuire a sua volta al fondo, trasformandosi da beneficiario a donatore. Quindi a un certo punto ci siamo chiesti come potevamo impegnare le risorse raccolte». Ed è qui che entra il gioco il Centro di ascolto della Caritas. Le volontarie, interpellate dalle famiglie solidali, si ricordano di una giovane mamma boliviana che qualche mese prima aveva chiesto aiuto. Melvi Dolores Torricos Rodiguez, si chiama la donna. Dopo la nascita della bambina, l’anziana che l’aveva assunta come colf e tutto-fare, le aveva fatto intendere che non intendeva rinnovarle il contratto. Così Melvi, si era trasferita dal fratello che abitava nel quartiere. Quando poi anche il marito aveva perso il lavoro, aveva bussato alle porte della parrocchia. «Era venuta da noi chiedendo non la carità, ma il lavoro. Quando le famiglie ci hanno chiesto di individuare qualcuno da aiutare, tutte noi abbiamo pensato a lei», sottolineo le volontarie.
A questo punto della storia ci sono ancora soltanto i benefattori e il potenziale beneficiario. Ma perché questa generosità non diventi soltanto elemosina, serve un’idea. E l’idea le famiglie la concepiscono con l’aiuto di una cooperativa sociale. Nelle vecchie case operaie di Rogoredo l’età media è piuttosto alta. Non è difficile per gli operatori della cooperativa trovare anziani che accettino assistenza domestica. Soprattutto se l’assistenza è assolutamente gratuita, perché a pagare è qualcun altro. Oggi Melvi ha sei anziani da visitare. Va a casa loro, gli fa compagnia, li accompagna ai giardinetti, li porta dal medico. Lo stipendio glielo pagano le famiglie solidali; il contratto di lavoro assolutamente regolare che firma con la cooperativa le consente di rinnovare il permesso di soggiorno. «Quando me ne vado, le signore mi ringraziano. E questo mi fa molto piacere, mi fa sentire utile», sottolinea Melvi. Sono state probabilmente anche le gratificazioni ricevute a spingerla ad investire su di sé. Melvi ha deciso di frequentare un corso per conseguire il titolo di ausiliario socio assistenziale che le permetterà ad esempio di lavorare nella case di riposo o nei centri per anziani e portatori di handicap. Proprio grazie ai consigli degli operatori della cooperativa ha potuto chiedere e ottenere un prestito di 2 mila euro che le permetterà di coprire il costo delle lezioni e di sperare in un futuro migliore.
Risultato? Con una somma pari a circa 8 mila euro è stato creato un posto di lavoro per una persona che ne aveva bisogno e offerto un servizio che non c’era agli abitanti del quartiere. Il contratto di Melvi durerà sei mesi. Ma non è detto che non possa continuare oltre.