Essere operatori di pace ed educare alla pace. Due moniti rivolti ai cristiani che l’arcivescovo Delpini ha affidato al capitolo sesto della sua Proposta pastorale Viviamo di una vita ricevuta e che suonano drammaticamente attuali in questi giorni. Ne abbiamo parlato con Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana.
Come si sente il cristiano oggi, di fronte allo scandalo della guerra?
È sempre difficile affrontare le situazioni di guerra, il sentimento prevalente è quello dello scoramento e della frustrazione, ma bisogna avere la forza di usare le nostre energie per ripartire e costruire intorno a noi condizioni di pace. Il Vangelo ci invita a capire che c’è una radice di male nel cuore dell’uomo che va in qualche modo combattuta, e lì sì con tutte le armi che abbiamo. Ma per chi, come il cristiano, crede che il destino dell’uomo sia la convivenza con tutti, per chi crede nella promessa di pace che Dio ha fatto agli uomini, c’è sempre la possibilità di convertire un cuore che per sua natura è spontaneamente portato a vendicarsi e a usare la violenza.
Come diventare gli operatori di pace che l’Arcivescovo chiede di essere?
Per arrivare a una guerra ci sono meccanismi politici ed economici che si innescano da lontano: dovremmo impiegare le stesse risorse per costruire nel mondo condizioni di pace e tutte le realtà della cooperazione e le associazioni cercano di fare la loro parte. Certo, quando il conflitto scoppia bisogna dire con forza che le armi non sono la scelta giusta per costruire una convivenza che abbia in sé i germi del futuro. Un futuro che sia per tutti dignitoso, dove tutti ci riconosciamo fratelli con la stessa dignità, passa da scelte di pace. Ma a monte ci devono essere anche scelte di giustizia. Bisogna avere il coraggio di non chiudere gli occhi su violenze e ingiustizie, che poi sono le cause dei conflitti, ma affrontarli nell’unico modo possibile: quello dell’incontro, del dialogo, del riconoscimento delle reciproche ragioni per cercare una soluzione condivisa. Siamo condannati alla pace: sembra che ci sia una ineluttabilità della guerra, in realtà è la pace che è ineluttabile, se vogliamo continuare a vivere sul questo pianeta. Bisogna investire nella salute, nella democrazia, nel rispetto dell’ambiente e nella ricchezza condivisa, contro l’individualismo che crea pochi potenti che soggiogano interi popoli.
E nel nostro quotidiano?
L’arcivescovo Delpini invita a essere artigiani di pace, cioè a operare quotidianamente con le proprie scelte e con i propri stili di vita per trasformare il mondo e renderlo sempre più umano. Individualmente significa, per esempio, prendersi cura dell’anziano solo nel proprio condominio, portare assistenza a un malato, dedicarsi a un qualsiasi tipo di volontariato. Nella società vuol dire mettersi insieme agli altri per impegnarsi a cambiare le cose: perché ci sia accesso alle cure mediche per tutti, perché siano riconosciuti i diritti fondamentali nel mondo del lavoro, l’accesso all’istruzione anche per i ragazzi che non hanno soldi o una casa adeguata. Un cristiano deve credere sempre che c’è la possibilità di cambiare le cose e sa che per farlo bisogna cambiare prima di tutto il proprio modo di vedere, eliminare i pregiudizi che ci fanno vedere il povero come quello che in fondo se l’è meritato e capire che ci sono tanti processi che portano le persone a rimanere intrappolate in situazioni veramente di degrado, processi che vanno smascherati e denunciati perché altrimenti saranno origine di conflitti. L’operatore di pace, dice l’Arcivescovo, è quella persona che riesce ad abitare il proprio tempo cercando di restituire umanità a tutte le persone che la stanno perdendo o l’hanno già persa.
Monsignor Delpini parla dell’importanza di educare alla pace. Cosa fa la Caritas in questo ambito?
Caritas si impegna a costruire una cultura di pace e questo non può prescindere dall’educazione. Prendiamo per esempio la scelta dell’obiezione di coscienza, che non è più di moda: non basta sapere che c’è una legge, bisogna anche educare le coscienze dei giovani a decidere da che parte stare, se dalla parte di chi pensa di risolvere un conflitto abbracciando le armi e imparando a sparare, oppure da quella di chi decide di difendere la patria con sistemi non violenti, anche dicendo dei “no” (di fatto l’obiezione di coscienza è essa stessa un “no”). In particolare, il mestiere della Caritas è questo: a partire dall’incontro con i poveri, fare emergere e riconoscere quali sono le cause che hanno portato queste persone a vivere una vita non dignitosa, magari scoprendo che c’è un sistema malato che produce queste situazioni, e quindi sensibilizzare le comunità – cristiane innanzitutto, ma anche le istituzioni, le imprese e tutti coloro che possono fare qualcosa – per spingerle a cambiare le cose.