L’ultima giornata del viaggio pastorale dell’arcivescovo Mario Delpini è iniziata con una semplice e intima celebrazione eucaristica nell’Episcopio di Smirne presso la basilica di San Policarpo, patrono della città nonché discepolo di Giovanni Evangelista.
İn questa chiesa del 1625, oggi in restauro dopo il terribile terremoto del 31 ottobre 2020 che ha danneggiato campanile, tetto, pareti e affreschi, questa celebrazione ci ha ricordato le profonde radici della presenza della Chiesa in Turchia, anche se ora è un piccolo e fragile virgulto.
Preso poi il vaporetto per attraversare l’ampio golfo della popolosa metropoli turca sull’Egeo, toccante la visita alla parrocchia di sant’Elena dove è stato parroco dal 2011 al 2013 il fidei donum di Milano, don Giuliano Lonati.
Una presenza breve ma intensa che ha lasciato un indelebile segno nei parrocchiani, che lo ricordano ancora con grande affetto e nostalgia per la semplicità e profonda spiritualità, capace di toccare il cuore di tutti, e la discreta attenzione a farsi vicino a chiunque.
A testimoniare la sua presenza è custodito nel cortile di fianco al portone della chiesa il cipresso da lui stesso piantato, che ora svetta alto nel Cielo.
Ultimo, ma non meno significativo, l’incontro con il responsabile della Caritas diocesana di Smirne. Sono stati illustrati i progetti in atto a favore dei numerosissimi profughi e rifugiati presenti su tutto il territorio dell’Arcidiocesi, sottolineando come ogni gruppo etnico ha esigenze, bisogni, problematiche e quindi attese differenti: dagli afgani – che hanno bisogno di istruzione perché analfabeti – agli africani che chiedono un aiuto prima di trovare un lavoro e una casa; dai rifugiati caldei che chiedono catechesi e formazione cristiana per i loro figli, alle donne che desiderano corsi professionali per acquisire autonomia economica.
Per tutti, grazie anche ai fondi stanziati dalla Cei, si cerca di dare una risposta che dia una concreta speranza al loro futuro così incerto e precario in questa “terra di mezzo” dove si sentono bloccati da anni.
Drammatici i racconti delle storie che si sono lasciati alle spalle, della sofferenza che stanno sopportando, delle ferite che stanno ancora sanguinando.
Questa è la Chiesa che ha incontrato in questi giorni Delpini. «Una Chiesa che – come ha ben sottolineato l’Arcivescovo – è fatta di piccoli numeri, ma ha l’energia del piccolo seme che nella sua fragilità e impotenza porta in sè vitalità e forza; una Chiesa senza grosse strutture, ma fatta di legami, relazioni e incontri, una Chiesa sorella – tanto antica e tanto nuova – che, nel suo essere minoranza in una realtà molto complessa e variegata, ha tanto da insegnarci».