«Con la testa e il cuore sono già a Brescia», dice il Vescovo eletto monsignor Pierantonio Tremolada, che fra poche settimane farà l’ingresso nella sua nuova Diocesi. Dopo l’ansia dei primi tempi, «ora il sentimento sta cambiando», insieme «alla consapevolezza dell’importanza della Diocesi di Brescia, del suo valore e della sua nobile storia, ma anche della sua vita e vivacità». Il desiderio «è di conoscere sempre più questa realtà e di compiere insieme il cammino», nella certezza che «la grazia del Signore farà in modo che diventi per me un’occasione di crescita nella fede e nella conversione. Offrirò il mio contributo a una storia di Chiesa che mi precede, che continuerà anche dopo di me e oltre questa generazione di credenti».
Si è già fatta un’idea della sua futura Diocesi?
Mi sono accorto che è molto vasta (conta un milione e 150 mila abitanti ed è la quinta Diocesi d’Italia) e molto varia. Ci sono zone differenti, le valli, i laghi, la città, la Bassa con i suoi grandi centri. Sono presenti molte realtà nate nei secoli, come fondazioni e istituti, e una grande attività di volontariato. È una Chiesa molto vivace e impegnata su vari fronti: carità, educazione, attività sociale…»
Ha preso contatto con i suoi futuri collaboratori?
Nel pomeriggio stesso dell’annuncio della mia nomina ho incontrato una piccola delegazione: mi hanno portato la Guida della Diocesi e mi hanno detto: «Ecco la Diocesi sulla carta». Così mi sono messo a studiarla. In seguito ho incontrato una seconda delegazione di una cinquantina di persone, erano i responsabili dei vari uffici di Curia e di enti, e con loro abbiamo iniziato a ragionare. Ho colto una grande disponibilità ed è emersa una profonda empatia percepita da tutti e che mi ha fatto molto piacere. Mi sento molto atteso e ben accolto.
E con il popolo bresciano?
Si sta creando una sorta di empatia spirituale, che poi diventa preghiera reciproca. Mi consola molto il fatto che ogni volta che incontro qualcuno di Brescia mi dica: «Guardi che stiamo pregando per lei». So che pregano ogni giorno e durante le Messe domenicali c’è un’intenzione di preghiera per me. Quando sono andato a Brescia per la seconda volta (in treno), dalla stazione alla Curia ho fatto due passi a piedi: mi ha colpito molto il fatto che la gente mi fermasse, mi salutasse, mi desse il benvenuto e mi assicurasse la preghiera.
Che cosa si porta dietro della sua “ambrosianità”?
Devo stare attento perché l’ambrosianità è un grande valore, ma la nostra realtà di Chiesa è molto forte e rischia di schiacciare le altre. Il primo atteggiamento allora è quello di mettermi in ascolto per capire cosa posso ricevere dalla brescianità. Poi, certo, io arrivo con la mia esperienza di Chiesa, una Chiesa che amo molto e stimo tantissimo: ritengo sia stata una grazia appartenervi. Il mio cammino personale e il servizio che ho svolto in Diocesi, la mia storia, i vari incarichi che mi sono stati affidati – con molta fiducia da parte dei vari Vescovi cui io sono molto riconoscente – sono una ricchezza. Ora tutto sta convergendo verso questa nuova responsabilità.
Anche lei, come Martini, sarà un Vescovo biblista. Quale insegnamento?
Io devo molto a Martini. Sia la mia ordinazione, sia il mio ministero presbiterale sono stati segnati da lui, dal suo magistero, con la forte sottolineatura della Parola di Dio e del discernimento, che diventa possibile grazie all’ascolto della Scrittura. Il discernimento, contemporaneamente personale e pastorale, è un’arte e uno dei grandi carismi che lo Spirito mette a disposizione della Chiesa. Martini in questo è stato davvero un maestro. Mi piacerebbe raccogliere questa eredità e immetterla nel mio nuovo compito. Mi sento molto in sintonia e in continuità anche con l’azione pastorale di monsignor Monari, biblista a sua volta, legato alla figura di Martini e molto convinto di questo rapporto tra la Parola e la vita della Chiesa e di ciascuno. Credo che la Parola di Dio possa svolgere un compito estremamente prezioso, che è quello di comprendere che cosa lo Spirito sta dicendo oggi alla sua Chiesa per il bene del mondo.
Quali sono le sue priorità nella guida del popolo bresciano?
Mi sono già sbilanciato con i bresciani dicendo che le mie priorità saranno tre: i preti, i giovani e i deboli, quelli che papa Francesco chiama «i poveri», nelle varie forme. Mi sta molto a cuore anche la sinodalità nella guida della Diocesi: sarà importante capire insieme che cosa significa e come realizzarla, nel rispetto di tutte le figure. Il presbiterio ha un ruolo fondamentale, però non è l’unico soggetto, ci sono tante figure laicali; in forza del battesimo tutti siamo responsabili del vissuto della Chiesa. La sinodalità permette a ciascun carisma di esprimersi in comunione con tutti gli altri, arrivando insieme alle decisioni. Occorre creare una circolarità maggiore tra centro e territorio, non immaginando realtà intermedie, ma tavoli per ragionare insieme.
Brescia è la Diocesi che ha dato i natali a Paolo VI…
Ho sempre avuto grande stima per Paolo VI e ora aggiungo una venerazione. Considero il suo magistero straordinario, ha lasciato un’impronta la cui portata comprenderemo sempre meglio nel tempo. Ho intenzione di andare subito a visitare i luoghi di Paolo VI, a cominciare da Concesio, mentre sono già stato a Santa Maria delle Grazie, dove ha celebrato la sua prima Messa. Da una parte, la conoscenza dei luoghi mi permetterà di comprendere meglio la sua figura e, dall’altra, la sua figura mi farà conoscere meglio il territorio. In Paolo VI emerge chiarissima l’umiltà; inoltre era una persona molto intelligente, acuta, di grande spiritualità. Aveva una sorta di aristocrazia spirituale, apparteneva a una famiglia di spicco a Brescia, ma non ha mai fatto pesare il suo livello sociale. Speriamo che l’anno prossimo si possa arrivare alla canonizzazione perché il vicepostulatore mi ha detto che il secondo miracolo è stato riconosciuto. Questa sarebbe davvero una grazia.