«Siamo stufi delle lamentele, non ne possiamo più di quelli che pongono domande e non spiegano o ascoltano le risposte, non vogliamo più essere risentiti perché gli adulti hanno rubato il futuro ai giovani. Ragazzi, riprendetevi il vostro futuro. Questi catecumeni sono qui per dire che hanno trovato la fonte inesauribile della gioia. Io credo perciò canto con il cuore, con il desiderio di un grande coro che alzi a Dio: il canto dei redenti».
In un Duomo gremito di tremila giovani, provenienti dall’intera Diocesi per partecipare alla Veglia in Traditione Symboli, l’Arcivescovo rivolge a tutti un richiamo o, meglio, una chiamata alla responsabilità, al non essere timidi nel dire il proprio sì al Signore, espresso da quel simbolo della fede, il Credo, che viene consegnato, al termine del Rito, a ognuno. Così come hanno scelto di testimoniare i 74 catecumeni ambrosiani 2023 che riceveranno nella Veglia pasquale i sacramenti dell’iniziazione cristiana, definiti dal vescovo Delpini «esemplari».
Tra le navate, con tanti giovani che siedono anche per terra, la Veglia intitolata «Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito» con un’espressione del Vangelo di Luca al capitolo 23, è stata preparata da giovani di diversi movimenti e associazioni ed è concelebrata dai vicari episcopali, tra cui il vicario generale, monsignor Franco Agnesi e il vicario di Settore, don Mario Antonelli. Accanto al vescovo Delpini ci sono i responsabili della Pastorale giovanile, don Marco Fusi, della Sezione per il Catecumenato, don Matteo Dal Santo e altri presbiteri impegnati sul tema. Presenti anche sacerdoti, religiose, educatori, catechisti per una Traditio aperta dallo scambio della pace e centrata quest’anno sul mistero della Trinità: tra interrogativi, preghiera, canto, silenzio e riflessione, è protagonista l’ascolto della Parola e di alcuni brani di papa Benedetto XVI dedicati al mistero trinitario.
I gesti sono vissuti con intensità, come quando l’Arcivescovo asperge l’assemblea con l’acqua benedetta, a memoria del battesimo, sulle note dell’inno della Gmg di Cracovia 2016, o come quando un ragazzo racconta la sua esperienza e spiega come, pur tra tanti dubbi, «la sete di senso abbia dato forza al mio cammino», nella consapevolezza che la vita «merita di essere vissuta».
Tutto nella Traditio è rivolto da sempre ai giovani, soprattutto in vista della Gmg, in programma a Lisbona nella prima settimana di agosto. Da qui l’invito a riflettere sulla propria fede nei tre interrogativi della Veglia: Credi in Dio Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credi in Gesù Cristo? Credi nello Spirito Santo? Le risposte che i giovani hanno il compito di cercare sono sostenute anche dalla contemplazione di alcune opere d’arte dello scultore Jago, oltre che dalle parole dell’Arcivescovo.
Tu da che parte stai?
«Riconosciamo – esorta l’Arcivescovo – la nostra verità: viviamo per la vocazione ad amare. Non viviamo per morire, non viviamo per chiuderci. L’insidia del tentatore che vuole convincere a cercare la propria felicità nel pensare a noi stessi, nell’evitare i fastidi, nel fare dei nostri desideri un diritto alla avidità, alla prepotenza, all’egocentrismo trascina verso l’infelicità, la solitudine, la schiavitù, la morte».
È di fronte a questo che la domanda «Tu, da che parte stai?» si fa stringente e sembra rivolta dal Vescovo ad uno ad uno dei presenti. «L’evento tragico della crocifissione – prosegue Delpini – e della morte di Gesù è come lo squarciarsi del velo delle tenebre e del grigiore. È l’evento che impone di scegliere. Il grigiore, la tenebra è il paese dove non si sceglie, non si cammina, non si sa. Non si dice sì o no, ma boh. Non si è né caldi né freddi, ma tiepidi. Non si ama e non si odia: si è indifferenti».
Delpini quindi sottolinea il suo invito. «Siamo radunati per prendere posizione. Si tratta di noi e di te, Gesù. Si tratta di me e di te, Gesù. Il tuo vivere e il tuo morire mi attirano a conoscerti, ad ascoltarti, a fidarmi di te, a seguirti, ad accogliere il dono della tua amicizia. Siamo qui per dire: crediamo in te, crediamo che tu sei il Signore, che tu sei la via della vita, dove vai tu anche noi decidiamo di venire, come preghi tu, anche noi decidiamo di pregare. Siamo qui per professare la nostra fede, la mia fede: come tu ti consegni nelle mani del Padre, io consegno la mia vita. Non si tratta di dottrine o di tradizioni, di problemi politici o sociali, non si tratta di essere brava gente che non fa del male a nessuno o di confonderci dentro la banalità dei luoghi comuni e dei buoni sentimenti. Si tratta di me e di te, Gesù».
L’aria sorprendente della primavera
«C’è qualche cosa di sorprendente – aggiunge Delpini – in questa aria di primavera che avvolge la città. Forse la città non se ne accorge, è ripiegata sulle sue malinconie. La città è chiassosa per l’euforia artificiosa, geme per le sue ferite e le solitudini inconsolabili, grida la sua rabbia, la sua disperazione. Ma c’è una gioia che canta: quella gioia improbabile nel contesto della desolazione viene dal profondo del cuore dei credenti, viene dall’intimità incantata della Chiesa. Ecco, la gioia che canta è l’armonia del coro dei redenti, è la comunità che celebra la presenza del Crocifisso risorto».
È questa la comunità che celebra la presenza del Crocifisso risorto. «Porta nel suo corpo – sottolinea il Vescovo – le ferite e il dolore dell’umanità e insieme offre la luce della sua gloria, il Consolatore che percorre ogni angolo della terra, che parla ogni lingua dell’umanità, che apre alla speranza ogni pensiero e ogni amore. Così, dunque, professiamo la nostra fede, la fede della Chiesa, la fede che orienta il nostro cammino, la fede che ci rende custodi e responsabili della speranza del mondo: Gesù, io credo: perciò mi affido, perciò amo, perciò canto».
La testimonianza del catecumeno Philip
Conclusa l’omelia, la croce che accompagnerà i giovani ambrosiani a Lisbona viene portata, in processione, fino ai piedi dell’altare maggiore per l’adorazione. Qui giunge la testimonianza di Philip, 23 anni, studente lavoratore che sarà tra la decina di catecumeni che riceveranno il battesimo in Cattedrale nella notte di Pasqua. «Personalmente – afferma il ragazzo – non mi è mai mancato nulla finora nella vita. Tuttavia, da qualche anno a questa parte sentivo in me stesso un vuoto che né gli affetti personali né i miei interessi culturali erano in grado di colmare, e continuavo a focalizzarmi su me stesso e sul perché non riuscissi a trovare un modo per trovare una soluzione razionale e un senso al mio crescere. Con la decisione di iniziare il cammino, inizialmente come curiosità, poi senza avvertire una divisione tra mondi lontani, avvertivo un nuovo sentore che maturava un senso di pienezza al mio crescere, un convincimento profondo, ritenendo anche come questi anni di studio mi stanno preparando a dare un contributo per un mondo migliore».
Dopo la consegna del Credo, la professione di fede, la recita corale del Padre Nostro, i Riti di conclusione con la benedizione e il canto Há Pressa no Ar, l’inno della Gmg 2023 (eseguito da tre cori riunitisi per l’occasione, Shekinah, Elikya e Clu), c’è ancora tempo per alcuni ringraziamenti. Don Fusi ricorda che sono ancora aperte le iscrizioni alla Gmg. I giovani, all’uscita della Cattedrale, sono invitati anche a contribuire per sostenere l’accoglienza di 10 ragazzi provenienti dalla diocesi di Pucalpa in Perù che, ospitati a Lecco, andranno anche loro alla Giornata Mondiale di Lisbona.
«Anche io sarò a Lisbona – conclude l’Arcivescovo – e vorrei che tutti ci considerassimo come degli inviati della Diocesi, dei mendicanti che sentono la responsabilità di cercare una speranza per questa Europa che mi sembra vecchia ed egoista. Andiamo fino a dove il continente finisce nell’Atlantico per guardare all’Europa e dire che la vogliamo bella, giovane e lieta, capace di solidarietà e di pace. Andremo e torneremo, come mendicanti che hanno ricevuto un fuoco, con la responsabilità di rinnovare la vita del nostro continente. Mi piacerebbe che i giovani della Diocesi facessero una professione di fede, avessero uno slancio nuovo per dire che crediamo. Siamo gente che va come mendicante e torna come missionario».
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