08I fidei donum sono quei sacerdoti diocesani che hanno scelto di vivere una parte significativa del proprio ministero in terra di missione, come don Angelo Bellati, che è pronto a ritornare in Zambia, nella parrocchia di St. Stephen a Situmbeko, dopo un periodo di riposo qui in Italia.
A quando risale la sua decisione di diventare fidei donum?
Avevo questo desiderio ai tempi del Seminario, poi dopo si è concretizzato nel 2011 quando confrontandomi anche con i vicari si è valutata questa possibilità.
Qual è il valore aggiunto che il suo ministero ricava dalle terre di missione?
Alcune volte nella vita anche di un prete si ha bisogno di allargare gli orizzonti. Mettersi dunque a servizio della Chiesa, che è la Chiesa locale, ma diventa anche la Chiesa universale.
Alla luce di questa sua esperienza in Africa è più quello che si dà o quello che ci si aspetta di ricevere?
Si dà la nostra storia, la storia e la cultura della Chiesa di Milano. Dall’altra parte c’è una Chiesa giovane ed entusiasta, che ha tanta voglia di crescere, di camminare con le sue gambe e non è appesantita dalle lentezze e dalle fatiche di una Chiesa come la nostra che si sta ripensando in un mondo che cambia.
Quali sono state le maggiori difficoltà che personalmente ha incontrato?
Solo quelle legate al fatto che il mondo è diverso e anche che tu sei diverso, sarai sempre il prete bianco che viene dall’Europa con le sue ricchezze, con le sue possibilità e questa è già una sfida: rendersi conto che sei ospite in casa d’altri.
Di che cosa si sta occupando in Zambia?
Nei primi quattro anni sono stato nella parrocchia di San Maurice, alla periferia di Lusaka. Gli ultimi tre invece li ho trascorsi in un contesto rurale dove la gente vive ancora dell’agricoltura di sussistenza. Il mio impegno attuale è quello di visitare le varie comunità sparse.
Rispetto alla pastorale in terra ambrosiana qual è la principale differenza che ha trovato?
La differenza più significativa è quella del coinvolgimento dei laici. Non che qui in Italia i laici non siano coinvolti, ma effettivamente là è molto più significativa questa presenza. Il Consiglio pastorale o tutti i vari gruppi hanno un loro cosiddetto executive e il prete nelle riunioni non sempre è il protagonista. ma è uno dei membri.
Questa è una particolarità che potrebbe essere suggerita a una Chiesa come quella ambrosiana…
La Chiesa zambiana ci dice infatti che è possibile metterci in questa direzione. Sono originario della Valsassina dove ci sono tanti piccoli paesi sparsi che in prospettiva non potranno avere sempre e comunque un parroco. In ognuna delle nostre comunità in Zambia ad esempio c’è un leader che è incaricato a preparare e guidare la preghiera della domenica quando il prete non riesce ad arrivare. Non posso celebrare tredici Messe in un giorno…
C’è stato invece un seme di ambrosianità che ha trasportato in terra africana?
La presenza dei fidei donum di Milano, che è iniziata nel 1961, qualche segno lo ha lasciato. Anche se dobbiamo stare attenti a non far diventare ambrosiana una cultura che non lo è, nel tempo la gente ha imparato ad apprezzarne alcuni tratti come la presenza e la dedizione in parrocchia, l’impegno nella pastorale giovanile.
Sta per tornare in missione, com’è la vita in questo momento in Zambia?
Quest’anno la stagione delle piogge è stata molto scarsa e quindi la gente soffre per mancanza di cibo e i prezzi si sono alzati. Tuttavia, anche se le distanze rispetto all’Italia e all’Europa ci sono ancora, un grande segno di speranza è che la popolazione è molto giovane. Sarà questa la ricchezza che aiuterà lo Zambia a crescere.