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Milano

Tornare all’anima dell’Europa, dicendo parole profetiche e scomode

Inaugurato l’anno accademico dell'Università Cattolica. La Messa, presieduta dall’Arcivescovo in Sant’Ambrogio, è stata seguita dalla cerimonia in Aula magna: non solo l'occasione per tracciare un bilancio dell'ultimo anno dell'Ateneo, ma anche momento di riflessione sul ruolo dei cristiani e sulla Comunità Europea

di Annamaria BRACCINI

19 Novembre 2018

L’anima ferita dell’Europa, il suo futuro e l’Università che, come luogo di elaborazione culturale e civile, può dire tanto anche su questi temi. Quest’anno, l’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, non è solo occasione per tracciare un bilancio dei 12 mesi appena trascorsi e per delineare le sfide di breve e lungo termine, ma si fa anche momento di riflessione articolata e profonda sul nostro Continente, il ruolo dei cristiani, la Comunità Europea.

La Celebrazione eucaristica

Si inizia con la tradizionale Celebrazione eucaristica presieduta, nella Basilica di Sant’Ambrogio, dall’Arcivescovo e concelebrata, tra altri sacerdoti, dall’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, monsignor Claudio Giuliodori (che porge il saluto di benvenuto), dagli altri assistenti, dai presbiteri legati al mondo universitario e della scuola e dall’abate della basilica, monsignor Carlo Faccendini. Chiare, nell’omelia, le parole del Vescovo contro ogni facile e buona sistemazione di soddisfazione e di prestigio, magari, proprio in Università. Ciò che conta, è altrove e oltre: è la vocazione. «Forse Gesù chiama qualcuno a lasciare reti e barche per seguirlo, forse chiama a lasciare gli adempimenti accademici per impostare in modo totalmente nuovo la vita e non sono pochi, anche tra gli studenti dell’Università, coloro che sentono una chiamata diversa. Noi preghiamo che questi giovani siano pronti e liberi, disponibili e coraggiosi»

Un guardare “oltre” che, «in questa Europa che sembra rassegnata al suo declino e ad entusiasmarsi solo per qualche ritrovato della tecnologia», indica i testimoni della speranza.

«L’“oltre” della vocazione è la parola profetica che, ispirandosi a Dio, ha qualcosa da dire sulla politica del suo tempo, giudica le alleanze internazionali, disturba i potenti e i poteri costituiti, mettendo in guardia da aggiustamenti che sembrano risolutivi e che si dimostrano, poi, disastrosi.  Gli intellettuali cristiani dovranno dire parole scomode; coloro che si espongono nella vita politica, nelle istituzioni, che hanno responsabilità amministrative, dovranno esprimersi con qualche idea che sappia un poco di Vangelo, non per farne una legislazione, ma per portare inquietudine e dire parole profetiche». 

L’inaugurazione  

Poi, nell’Aula magna dell’Ateneo, dove trovano posto il Senato accademico, docenti e studenti, rappresentanti del mondo della cultura, delle istituzioni militari e civili (c’è anche il sindaco, il prefetto, il questore di Milano), prende la parola il magnifico rettore, Franco Anelli. La sua è una relazione nella quale si legge soddisfazione per i “numeri” dell’Ateneo e per la qualità di livello internazionale della “Cattolica” che, tuttavia, rimane fortemente connotata nel territorio.

«Dopo i rilevanti incrementi degli ultimi anni, l’andamento delle immatricolazioni si conferma positivo. Lo scorso 31 ottobre, infatti, si registravano 13.468 nuovi iscritti con un incremento del 1,5% rispetto a quelli dello scorso anno in pari data, che si concentra soprattutto nelle lauree magistrali, mentre quelle triennali sono nel complesso stabilizzate, anche in considerazione della necessità di disciplinare l’accesso a taluni corsi. Nelle sole sedi padane (non comprendendo le migliaia di ragazzi che effettuano il test di ammissione alla nostra Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma) abbiamo ricevuto 13.683 domande a fronte di 5.362 posti», osserva Anelli, pur registrando qualche complessità, come gli ostacoli «inspiegabili che talora le Università libere incontrano nell’entrare in rapporto e stringere collaborazioni con istituzioni pubbliche in ragione di una loro astratta qualificazione di soggetti meramente “privati”, quasi che si trattasse di società lucrative o private associazioni», osserva Anelli che sottolinea l’importante traguardo del secolo di fondazione dell’Ateneo nel 1921 e la scelta di guardare al futuro nella fedeltà agli ideali ispirativi di padre Gemelli.

Parole a cui fa eco l’intervento dell’Arcivescovo quale presidente dell’Istituto di Studi Superiori “Giuseppe Toniolo”. «In quanto Vescovo mi interrogo, non soltanto sul funzionamento dell’Europa o sulle vicende presenti, ma sull’animo dell’Europa stessa che mi pare abbia un’anima ferita. Anche le vicende recenti sono frutto di ferite profonde che possono essere cicatrizzate o dimenticate». Ma se così non è «un’anima ferita può per prendere solo due strade, quella della saggezza o del risentimento». Quale è, allora, la vera anima europea? «È un anima predisposta alla visione – grandi pensieri sono nati in Europa -, che è un elemento importante per non finire in beghe e contenziosi meschini». Anche in questo caso, «visioni e idee che possono orientare a una speranza o chiudersi nell’immediato e nel calcolo spicciolo, ammalandosi di miopia».

E, ancora, un’altra caratteristica dell’anima europea «è la predisposizione all’amicizia che può essere una grande forza di progresso, ma che può degenerare anche in complicità, in spartirsi di interessi, aggregandosi tra antipatie e simpatie».

«Mi sembra doveroso dire a tutti coloro che hanno a cuore questo Ateneo: curatevi dell’anima dell’Europa, datevi da fare soprattutto voi giovani che siete il futuro e avete visioni più internazionali. Tutto il resto, se non ha un’anima, rischia di essere travolto alla prima crisi. Come “Toniolo” abbiamo la responsabilità di curarci dell’anima dell’Università e, nei limiti delle nostre possibilità, cercheremo di essere utili a questo cammino». 

Infine, è la volta della Lectio Magistralis del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani che definisce la “Cattolica”, un’eccellenza e, parlando a braccio, pronuncia una difesa accorata dei valori e, appunto, dell’anima del nostro Continente. «C’è una parola che fa da collante: la libertà, difesa fin dai tempi delle Termopili. Non è un caso che sul grande modello di civiltà edificato dai romani e dal loro Diritto, si innesti il cristianesimo che esalta la libertà, la parità tra donna e uomo, la dignità della persona. La croce è il minimo comun denominatore dell’Europa. Le 12 stelle d’oro della bandiera europea sono quelle che circondano il capo della Madonna e sono su sfondo blu perché questo è il colore del suo manto. Questa è la nostra identità che ha subito ferite con i milioni di morti delle due Guerre mondiali, così come nelle due grandi dittature del XX secolo, entrambe figlie di una cultura che negava, di fatto, il soprannaturale, basandosi sul materialismo biologico o storico».

«Se vogliamo veramente aprirci agli altri dobbiamo rinforzare la nostra identità, sottolineando che ognuno ha dignità ed è motore della società, dai bimbi non ancora nati agli anziani e ai portatori di handicap. I valori del nostro DNA sono la centralità della persona, il principio di sussidiarietà orizzontale, dove vi sono i Corpi intermedi che arrivano là dove non c’e lo Stato. Se non combattiamo per la libertà e la dignità della persona, distruggiamo tutto: non è caso che i problemi, a livello europeo, siano emersi quando si è creata un’idea economicista dell’Europa. Se non ci sono i valori e gli ideali, la macchina, che è anche il suo pilota, non va avanti. Troppo spesso manca la guida perché non ci sono leader con una grande visione come i De Gasperi ei Kohl.

Come a dire: «se non guardiamo al di là del Mediterraneo – quando il cambiamento climatico porta il deserto a mangiare le terre coltivate, quando milioni di persone cercano la sopravvivenza altrove -», saremo destinati a perdere come europei. Per questo «serve investire a livello comunitario garantendo la stabilità, ad esempio, dell’Africa, magari con un Piano Marshall. Così l’Europa può essere veramente una madre per i suoi cittadini. Siamo nati per garantire la pace a mezzo miliardo di persone. Serve più Europa e non per i dettagli: la politica è la chiave, perché cambiare non è distruggere». 

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