Nel luglio 2011, a poche settimane dal termine del suo episcopato ambrosiano, il cardinale Dionigi Tettamanzi incontrò gli oltre 700 volontari del Fondo Famiglia Lavoro, ringraziandoli per il loro impegno e fare un bilancio dell’iniziativa che il 31 dicembre successivo avrebbe terminato la sua prima fase.
Alla notte di Natale del 2008 risalivano l’annuncio dell’Arcivescovo e il suo primo personale investimento di un milione di euro. Quell’intuizione profetica, nell’arco di due anni e mezzo, si trasformò in realtà. Le domande raccolte furono oltre 9000: nel 56% dei casi presentate da stranieri, le rimanenti da famiglie italiane, perlopiù con figli. Persone improvvisamente trovatesi senza uno stipendio, nel 61% dei casi costrette a vivere con meno di 500 euro al mese. Grazie all’impegno di circa 700 operatori attivatisi in Diocesi, furono 8500 le domande esaminate e 6317 le famiglie aiutate con un contributo medio di 1951 euro. Furono 12.460.000 gli euro raccolti tra privati cittadini, parrocchie e Fondazione Cariplo.
Dalle parole che il Cardinale rivolse ai volontari («veri protagonisti del Fondo») emerge la “modernità” di quell’idea, evoluta poi nel Fondo «Diamo lavoro» e tornata drammaticamente d’attualità con la crisi socio-economica provocata dalla pandemia, che ha spinto alla creazione del Fondo San Giuseppe. «Si chiude un’esperienza che ci fa guardare in avanti per continuare il cammino di solidarietà… – disse Tettamanzi -. Il mio desiderio non è solo di avere occhi per voi, ma anche per le famiglie da voi aiutate e per quelle in attesa di un aiuto adeguato». E ammise di desiderare «altri occhi per raggiungere, non tanto il volto, ma il cuore di persone e famiglie che, nonostante gli sforzi, sono ancora alle prese con il loro problema e la loro disperazione, occhi che guardano al futuro. Dal Fondo sono nate altre possibilità e cammini di servizio per le situazioni di difficoltà e miseria». Tettamanzi ricordò un passaggio della lettera di Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000: «È l’ora di una nuova fantasia della carità, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nelle capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito come fraterna condivisione». Proprio questo rapporto personale «è quanto di più prezioso noi abbiamo potuto raccogliere in questi mesi che sono alle nostre spalle», continuò il Cardinale.
Tettamanzi concluse ricordando che il Vangelo «è la carità delle parole che passa attraverso la carità delle opere». Alla fine della nostra vita «ci verrà ricordato questo passo del Vangelo: ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Don Antonio Sciortino, allora direttore di Famiglia cristiana, definì il Fondo un’iniziativa «istituita per dare concretezza al comandamento dell’amore al prossimo. E per richiamare l’attenzione delle istituzioni su vecchie e nuove povertà».