Si fa presto a parlare di terzo settore, quel vasto insieme di soggetti (oltre 330 mila in tutta Italia, secondo l’ultimo censimento Istat) che lavorano con una logica non profit per obiettivi di utilità sociale, in moltissimi casi per sostenere il percorso delle persone più deboli e svantaggiate. Soprattutto in un periodo di difficoltà economica e di più o meno giustificate tensioni sociali c’è però il rischio che, in una «guerra degli ultimi contro i penultimi» – come ha avvertito qualche settimana fa l’economista Stefano Zamagni sulle pagine di Avvenire -, l’opinione pubblica sia portata a leggere anche il fondamentale lavoro di chi opera nel sociale attraverso una prospettiva meramente economica, di fondi spesi che, fatalmente, devono essere sempre più ridotti.
Raccogliendo questa preoccupazione la Casa della Carità vuole fare della presentazione del bilancio delle attività dello scorso anno anche un’occasione per rilanciare il ruolo del terzo settore, mettendone in luce tutta la vitalità e l’importanza per l’intero tessuto sociale, non ultimi gli aspetti dell’economia e dell’occupazione, e ribadendo ancora una volta la sfida per i soggetti del non profit a essere sempre più aperti e trasparenti. Questi i temi al centro del convegno in programma giovedì 13 giugno, alle 16.30, negli spazi dell’Aquario Civico di Milano (viale Gadio 2), dal titolo «Il futuro del terzo settore tra apertura e trasparenza», a cui, oltre al presidente della Casa della Carità don Virginio Colmegna, interverranno lo stesso Stefano Zamagni (presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali), l’assessore al Lavoro del Comune di Milano Cristina Tajani e il segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli.
«L’autentico terzo settore è una realtà che vive non per fare profitto individuale, ma per ricostruire legami di comunità, per riconsegnare continuamente quel valore aggiunto dato dalla solidarietà e dalla creazione di legami sociali» sottolinea don Colmegna, avvertendo che «il valore non solo del terzo settore, ma anche di tutta la società civile viene distrutto se lo si pensa solo in termini mercantili». Proprio per questo, chiarisce don Colmegna, «vogliamo che l’opinione pubblica veda la trasparenza del nostro lavoro, perché il denaro che amministriamo è quello che ci serve per valorizzare gli incontri tra le persone, e fino all’ultimo va restituito in questo suo valore aggiunto».
Il parametro delle relazioni è quello che dà forma anche al Bilancio di sostenibilità 2018 che la Casa della Carità presenterà giovedì prossimo: una fotografia del lavoro svolto dalla Fondazione voluta dal cardinale Martini nell’ospitalità e nel sostegno ai più fragili (un esempio per tutti, i senza fissa dimora con fragilità psichiche). Una sostenibilità che viene misurata non solo nell’impatto dei servizi offerti, ma innanzitutto «sul sostegno che l’organizzazione offre ai suoi dipendenti, oltre che sull’attenzione al piano ambientale e, naturalmente, sui conti economici», spiega Eugenia Montagnini, sociologa dell’Università Cattolica che ha curato la redazione del documento, individuando tra l’altro indicatori specifici per misurare alcuni elementi-chiave, come il tempo di permanenza degli ospiti nella casa e il loro tasso di turn -over.
Un bilancio fatto dunque di azioni concrete, che si rispecchiano proprio nell’attività che più è cresciuta nell’ultimo anno, quella delle docce per i senza fissa dimora: un servizio “di base” a cui si sono affiancate subito anche attività ricreative e di socialità per gli stessi ospiti. Perché, sottolinea ancora una volta Colmegna, la sfida per il riscatto delle persone, così come quella per portare a tutti solidarietà e sicurezza, «sono possibili solamente con risposte di qualità e non ideologiche».