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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Riflessione

«Teniamo viva la speranza del ritorno glorioso di Gesù»

Nella prima Domenica dell'Avvento ambrosiano pubblichiamo l'omelia che l'Arcivescovo ha pronunciato oggi a Cormano nel contesto della visita pastorale al Decanato di Bresso

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

17 Novembre 2019

Suonate, angeli, le vostre trombe!
Cantate, eletti, il vostro cantico!

C’è troppo rumore!

Si può descrivere anche così la situazione: c’è troppo rumore, troppe grida, troppi gemiti.

La guerra fa rumore. La violenza fa rumore. La distruzione fa rumore. La trasgressione che rovina la dignità e la bellezza dell’uomo e della donna fa rumore. Le forze del male si presentano con una violenza sovrumana, incontrollabile, incomprensibile. Sì, ci sono cattiverie tra gli uomini, ma c’è qualche cosa di troppo più grande nella crudeltà. Sì c’è l’aggressività degli umani, ma c’è qualche cosa di troppo più grande nell’accanimento della distruzione totale.

Nelle parole di Gesù e nella lettera di Paolo risuona questo eccesso del male. Mette dentro una voglia di fuggire dalla storia, ma verso dove? Fa nascere un desiderio di nascondersi in qualche rifugio sicuro, ma dove?

Gli angeli con una grande tromba

Contro ogni tentazione di fuggire, contro ogni illusione di difendersi, contro ogni inclinazione a rassegnarsi alla sconfitta, Gesù annuncia che proprio allora comparirà il segno del Figlio dell’uomo … egli manderà i suoi angeli con una grande tromba ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli.

Gli angeli con la grande tromba dicono certo di un allora che è posto alla fine della storia.

Ma intanto i discepoli sono mandati come gli angeli, i messaggeri del Figlio dell’uomo per radunare i suoi eletti.

E noi, perciò, ascoltiamo il mandato: Suonate angeli le vostre trombe! Cantate, eletti il vostro cantico!

Il suono delle vostre trombe è l’arte di trasformare in musica il rumore assordante, è l’arte di trasfigurare la storia perché manifesti la gloria. Fratelli amati dal Signore, Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità. A questo vi ha chiamati mediante il nostro Vangelo, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo (2Ts 2,13s)

Suonate le vostre trombe: nel disastro che rovina la terra si diffonda una musica che annunci la ricostruzione! Nella cattiveria che umilia i deboli si diffonda un cantico che proclami la salvezza e la giustizia: la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta (Is 51,6s).

La visita pastorale

La visita pastorale è l’occasione per il vescovo di ripetere l’annuncio di Gesù. All’inizio dell’Avvento il vescovo conferma la missione della Chiesa: suonate le vostre trombe angeli di Dio. A ogni comunità deve essere rivolto l’invito a continuare la missione, a dare motivi di speranza, a invitare ad alzare lo sguardo per riconoscere la direzione del cammino e ricevere la forza per compierlo.

La visita pastorale è l’invito a guardarsi attorno con maggior realismo per riconoscere che siamo un popolo numeroso che si affatica e soffre, ma che è radunato dalla speranza e quindi accoglie l’invito: suonate le vostre trombe, angeli di Dio! Cantate il vostro cantico, eletti del Signore!

Il Vescovo visita la comunità all’inizio dell’Avvento per raccomandare una interpretazione cristiana del tempo: la liturgia è la celebrazione dei santi misteri che infondono speranza. L’Avvento non è solo un tempo per prepararsi al Natale, inteso in quella riserva di tenerezza che regala un po’ di sollievo dalle fatiche della vita. È piuttosto un tempo per tenere viva la speranza del ritorno glorioso del Figlio dell’uomo. In questa speranza si rivela il senso della storia, la vittoria del bene sul male, la fede che attraversa le tribolazioni e le persecuzioni: Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome (Mt 24,9).

Alzate al cielo i vostri occhi (Is 51,6).

Il sorriso di Cristo

No, non è Giotto. Guardatela bene, questa immagine: anche se gli assomiglia in maniera impressionante, non è il Cristo del Giudizio finale dipinto nella splendida Cappella degli Scrovegni a Padova agli inizi del XIV secolo. Si tratta, invece, del medesimo soggetto affrescato nella chiesa dell’abbazia di Viboldone, nella campagna attorno a San Giuliano Milanese. Un’opera di assoluta bellezza che bene illustra l’ultima parte del Vangelo di Matteo, proclamato in questa prima domenica d’Avvento.
Certo, la dipendenza dal modello giottesco è evidente: smaccata, persino. Già negli anni Quaranta del secolo scorso, del resto, il vate degli storici dell’arte italiani, Roberto Longhi, assegnava questi affreschi milanesi alla mano di Giusto de’ Menabuoi, che proprio a Padova ha lasciato le sue opere più celebri. Si tratterebbe, però, di un lavoro giovanile di Giusto, realizzato attorno alla metà del Trecento, dopo la formazione fiorentina, prima del suo soggiorno veneto. Così che qualche dubbio rimane, in assenza di documenti e testimonianze...
In tutto simile al Cristo di Giotto - a cominciare dalle mani: con la destra che accoglie i beati, la sinistra che ferma i dannati - e tuttavia con una differenza non di poco conto: il volto del Salvatore, così severo nella Cappella degli Scrovegni, a Viboldone si apre in un sorriso che fa risplendere l’intera composizione. Un sorriso d’amore e di misericordia: è qui la nostra speranza.
Luca Frigerio