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Percorsi ecclesiali

Il Natale 2024 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 01 - 16 febbraio 2025
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Te Deum

«Viviamo un tempo benedetto da Dio, come pellegrini di speranza»

Nella tradizionale celebrazione del 31 dicembre nella parrocchia di San Fedele a Milano, l’Arcivescovo ha invitato tutti ad affrontare il nuovo anno con sguardo fiducioso sul domani. Con lui hanno concelebrato monsignor Merisi, vescovo emerito di Lodi, e monsignor Vegezzi, vicario episcopale per la Zona pastorale di Milano

di Annamaria BRACCINI

31 Dicembre 2024
(Agenzia Fotogramma)

«Noi, amici di Dio, non sappiamo tutto, non abbiamo risposte per tutte le domande, ma abbiamo da dire che la benedizione di Dio pronunciata sull’umanità non è l’augurio convenzionale che si scambia a casaccio con quelli che si incontrano in questi giorni; non è neppure un auspicio generico per dare voce a un sospiro, un desiderio, un sogno improbabile. Ecco cosa abbiamo da dire noi: Gesù il Benedetto ci ha benedetti e per questo diciamo che vale la pena diventare adulti, assumere delle responsabilità, perché sempre possiamo fare il bene».

È con questo sguardo fiducioso sul domani, che l’Arcivescovo invita a vivere l’anno che ormai sta per iniziare.

Nell’ultimo giorno del 2024, infatti, come tradizione, dopo aver cantato il Te Deum per i malati e i sofferenti presso il Pio Albergo Trivulzio, il vescovo Mario presiede la celebrazione, sempre con il canto del Te Deum di ringraziamento, nella parrocchia di San Fedele, affidata alla comunità della Compagnia di Gesù. 

(Agenzia Fotogramma)

Dopo due anni, nei quali monsignor Delpini non aveva potuto celebrare i riti di fine e inizio anno a Milano – per i suoi viaggi missionari con la visita a sacerdoti e laici Fidei donum ambrosiani -, così, in questa vigilia dell’anno giubilare 2025, il Te Deum ha il sapore di un appello a non lasciarsi andare al lamento, specie se si hanno responsabilità adulte o età che permettono (o dovrebbero farlo) di essere di guida per i giovani.

A concelebrare, accanto all’Arcivescovo, ci sono una decina di sacerdoti, tra cui due vescovi, monsignor Giuseppe Merisi, già vescovo di Lodi, e monsignor Giuseppe Vegezzi, vicario episcopale per la Zona pastorale I-Milano, il parroco, padre Iuri Santin – che ringrazia nel suo saluto di benvenuto per avere «come presidente di questo momento di grazia», appunto monsignor Delpini -, padre Carlo Casalone, presidente della “Fondazione Carlo Maria Martini” e altri presbiteri gesuiti. In prima fila, tra i molti fedeli, Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano con la fascia tricolore del Primo cittadino.  

Cosa dire ai giovani

«Voi nonni, voi adulti, voi genitori, voi che avete responsabilità nella Chiesa, nella scuola, nella società, nei ruoli amministrativi e politici, che cosa avete da dire ai ragazzi e ai giovani che incontrate, ai vostri figli, ai vostri studenti, a quelli che stanno entrando negli ambiti del lavoro? Forse qualcuno risponderà: “Noi non abbiamo niente da dire, perché i nostri nipoti, i nostri figli, i nostri studenti non ascoltano. Abitano in un altro mondo, ascoltano altri maestri, parlano altre lingue, si formano un’idea del mondo a partire dalla confusione della comunicazione abituale. Ecco: la nostra esperienza è insignificante, come quelle vecchie foto conservate per curiosità, piuttosto che per trarne spunti di riflessione. Noi non abbiamo niente da dire, perché è inutile parlare”», scandisce subito il vescovo Mario, avviando la sua omelia (leggi qui).

Niente da dire, anche perché gli adulti stessi sono assillati da quei dubbi a cui dà ancora voce l’Arcivescovo.  

(Agenzia Fotogramma)

Lo scontento e lo smarrimento

«“Noi non abbiamo niente da dire, perché non sappiamo che nome dare al nostro tempo, alla nostra età, non riusciamo a capire che cosa stia capitando e non sappiamo che cosa abiti il futuro. Avevamo certezze e si sono frantumate. Abbiamo rivendicato la libertà, abbiamo posto come dogma che fosse proibito proibire: che questa generazione sia libera, faccia quello che creda, pensi quello che vuole e sia infelice nel modo che preferisce”».

Non manca, come è visibile in ogni momento della nostra vita sociale, anche lo scontento «per il mondo, per gli altri, per noi stessi e la sensazione «di aver sbagliato tutto». Perciò il messaggio della sfiducia è “Fate quello che volete, ma non fate come abbiamo fatto noi”.

«Sarà un anno benedetto da Dio»

E, poi, però, ci sono coloro che si fanno avanti portando una parola da parte di Dio. 

Questa: «Noi abbiamo da dire che in questo anno che finisce, siamo stati benedetti da Dio: in ogni momento, infatti, della nostra vita noi abbiamo sperimentato che è stato possibile amare. In ogni situazione, nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà, nel nostro Paese e in un Paese straniero, sempre siamo stati benedetti da Dio, cioè sempre resi capaci di amare, servire, vivere secondo il comandamento di Gesù. Noi abbiamo da dire questo, guardando all’anno che viene: sarà un anno benedetto da Dio».

Ciò che rende la nostra vita benedetta da Dio, suggerisce ancora il vescovo Mario, «è l’alleanza nuova ed eterna che si è compiuta in Gesù. Infatti Gesù significa “Salvatore” e Gesù ha compiuto la sua salvezza perché è entrato e ha vinto ogni tenebra, ha portato il perdono per ogni peccato, ha mostrato la fragilità di ogni presunzione e ha rivelato la gloria di ogni umiltà. Perciò siamo pellegrini di speranza, camminiamo fiduciosi in ogni giorno dell’anno e in ogni situazione della vita manifestando la benedizione che sempre ci accompagna, infatti sempre e dappertutto, per grazia, si può amare».

Infine, è il canto del Te Deum che si alza nella chiesa inondata di luce con la partecipazione corale di tutti i fedeli presenti quasi per diffondersi sull’intera città come un inno, appunto, di speranza.

L’Arcivescovo Delpini con mons. Merisi, a destra, e mons. Vegezzi, a sinistra (Agenzia Fotogramma)

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