Una vita segnata da una fede incrollabile, che nemmeno 28 anni di prigionia e lavori forzati, ai quali è sopravvissuto miracolosamente, hanno mai potuto scalfire. È quella del cardinale Ernest Simoni, nato il 18 ottobre 1928 a Troshan, nella parte nord-occidentale dell’Albania, e oggi residente a Firenze. «Io non ho fatto niente, è tutto merito di Gesù e di Maria se sono qui a raccontare», spiega, con una forza che colpisce, se gli si chiede come abbia fatto a resistere alla persecuzione comunista, che in Albania ebbe proprio nella Chiesa e nel clero le sue predilette vittime sacrificali.
Testimone instancabile della sua vicenda umana e sacerdotale, il porporato – elevato alla dignità cardinalizia da papa Francesco il 19 novembre 2016 – è stato ospite della parrocchia di Santa Francesca Romana, dove ha celebrato la Messa e poi dialogato con la giornalista Catia Caramelli di Radio24, nella chiesa gremita. Accanto a lui, per l’occasione, il vicario episcopale per la Zona monsignor Carlo Azzimonti e una decina di sacerdoti concelebranti.
«La croce che ha portato addosso per 28 anni aiuti tutti noi in una più convinta docilità al Signore – dice in apertura il parroco, don Marco Artoni -. Lei rappresenta i suoi compagni di cammino che hanno vissuto il martirio e i pochi sopravvissuti che sono passati attraverso la grande tribolazione. Tutti loro vogliamo onorare. Il tempo di Avvento che stiamo vivendo ci sollecita a tenere lo sguardo su Gesù nella tenace e umile attesa». Di ringraziamento a Simoni, definito «un’icona vivente del crocifisso risorto», parla anche monsignor Azzimonti.
Ventotto anni di martirio
E a ripercorrere gli anni di prigionia attraverso la voce comunque ancora vigorosa dello stesso anziano Cardinale, sembra davvero un miracolo che abbia potuto resistere alla violenza non solo fisica, ma anche psicologica dei suoi aguzzini. Da quella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1963, quando, dopo la celebrazione di Natale, venne arrestato con l’accusa di aver celebrato Messe a suffragio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, assassinato il mese precedente.
Di formazione francescana, sacerdote molto amato e già noto per la sua predicazione, Simoni non poteva d’altra parte passare inosservato agli occhiuti agenti e spie della polizia segreta – la famigerata Segurimi – del regime ateo di Enver Hoxha, come ricorda il Cardinale, che in totale accumulerà 11 mila giorni di lavori forzati e del quale verranno perseguitati anche i familiari: «Si poteva essere condannati a dieci anni di prigionia solo per aver fatto il segno della croce», evidenzia, tornando con la memoria al tempo in cui la dittatura perseguiva l’obiettivo di «sterminare il clero cattolico».
Eppure l’allora don Ernest, controllato anche in carcere attraverso microspie collegate direttamente con gli uffici di Hoxha, continuava a sorridere, «parlando solo della fede in Cristo, padre di tutti i popoli del mondo e tutti perdonando», tanto che la condanna a morte venne commutata in 25 anni di prigionia e «rieducazione». Poi sarebbe arrivata un’ulteriore condanna, nel 1973, con l’accusa di aver fomentato la rivolta nella miniera dove lavoravano, «come schiavi», i detenuti, di cui in verità era solo divenuto un padre spirituale e una guida morale.
Nel 1981 la liberazione, pur continuando a essere considerato un “nemico del popolo” ed essendo costretto a lavorare nelle fogne di Scutari. Insomma, un pericoloso testimone e avversario, capace di spremere dei piccoli chicchi di uva e di conservare briciole di pane per celebrare l’Eucaristia tra i suoi compagni di sventura, anche musulmani, nei dieci anni di lavoro in miniera.
Le lacrime del Papa
Poi, negli anni Novanta, con la caduta della dittatura, il ritorno a una vita sacerdotale semplice e normale, fatta di quella testimonianza capace di commuovere fino alle lacrime papa Francesco che, nel viaggio apostolico in Albania, lo volle accanto, abbracciandolo il 21 settembre 2014 nella cattedrale di San Paolo a Tirana. Due anni dopo lo stesso Francesco avrebbe imposto a Simoni la berretta cardinalizia. E forse allora basta anche solo leggere il motto scelto dal neo Cardinale, «Il mio cuore trionferà», per comprendere da dove gli sia venuta tanta forza. Così come sottolinea lui stesso nell’intera omelia della Messa in Santa Francesca Romana, conclusa con un accorato appello alla pace tra i popoli.
L’omelia
«Gesù regna per tutti coloro che vogliono seguirlo. L’apostasia è così grande oggi che non si vede più la luce divina e ciò che ci aspetta. Che cosa dobbiamo fare per vivere la vita eterna? Seguire Gesù, nella croce che sconfigge la morte, salvando la legge di Dio, mantenendo fissi i 10 comandamenti, aiutando i poveri e i bisognosi – scandisce -. Cristo non è un ideologo, un miliardario, una figura mitologica, è la luce e il padre di tutti. La materia rimane materia e svanisce, solo il Signore rimane. Perché siamo così tiepidi con Gesù, perché come cattolici lo abbiamo dimenticato? Ritorniamo alla parola conversione che è la più potente che possiamo pronunciare», raccomanda il Cardinale, circondato, al termine della Messa, dall’affetto dei confratelli e dei tanti che gli si stringono intorno.
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