Di prima mattina già camminano ordinati verso San Pietro, invadendo le strade intorno al Vaticano per vivere il secondo appuntamento del pellegrinaggio «Seguimi», che il primo giorno li ha visti, insieme a decine di migliaia di coetanei provenienti da tutt’Italia, ascoltare e dialogare con il Papa. Così, nel martedì in Albis dell’Ottava di Pasqua, adolescenti e preadolescenti delle diocesi di Milano, Bergamo, Crema e Vigevano entrano nella Basilica, curiosi, un po’ intimoriti, ma sempre entusiasti per ciò di cui sono stati e sono gli assoluti protagonisti.
I celebranti
In una cornice di rara bellezza artistica, la luce del sole, che filtra dalle grandi vetrate, illumina ancor più la carica umana di più di 8000 ragazzi, su un totale di 12 mila, arrivati da ogni parte della nostra regione. Con loro gli educatori, le religiose, i seminaristi, i sacerdoti e i Pastori: oltre all’Arcivescovo, Francesco Beschi di Bergamo, Maurizio Gervasoni di Vigevano, delegato della Conferenza Episcopale Lombarda per la Pastorale giovanile, e Daniele Gianotti di Crema. Tutti salutati dalle rispettive diocesi, in apertura, con un applauso che risuona tra le austere statue e colonne, fino all’altare della Cattedra di San Pietro, dove l’Arcivescovo, anche nella sua veste di metropolita della Regione ecclesiastica Lombardia, presiede la Messa in Rito romano.
Tra i più di 300 sacerdoti concelebranti ci sono il responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Michele Falabretti, don Mario Antonelli, vicario episcopale ambrosiano per l’Educazione e la Celebrazione della fede, don Marco Fusi, responsabile diocesano di Pastorale giovanile, e don Stefano Guidi, direttore della Fom.
«Forse qualcuno pensa che sia difficile fare il vescovo in un Diocesi grande come Milano. Io invece ho visto che è una cosa molto facile, basta prestarsi per qualche fotografia: in realtà sono i preti che lavorano, portando la testimonianza in mezzo a voi», dice monsignor Delpini, dopo aver salutato a lungo i gruppi, percorrendo, tra un selfie e l’altro, la navata centrale di San Pietro. Parole scherzose che nell’omelia, invece, si fanno serissime e impegnative.
Le tre parole
«Vorrei insegnarvi solo tre parole straniere, come messaggio da consegnare alla vostra vita», spiega infatti l’Arcivescovo.
«La prima è kyrie, quella che Maria di Magdala dice a Gesù. È un vocativo, è una professione di fede che chiama, è un modo di dire la fede pasquale come ci ha ricordato anche il Papa commentando, ieri, il Vangelo di Giovanni ed evidenziando che il discepolo più giovane è quello che riconosce subito Gesù perché ha fiuto. Kyrie è la parola del discepolo amato, dell’umanità in lacrime che trova vivo colui che cercava come morto. Il Kurios, il Signore è la professione di fede di chi si sente trafiggere il cuore per la memoria del suo peccato, ma riceve l’annuncio del perdono di Dio».
Dunque, kyrie come l’invocazione, la confidenza con il Signore, «quando uno sente dentro di sé la paura per quello che lo aspetta e per ciò che deve fare. È la parola della fede di ciascuno. Qui siete in tanti, ma il Signore vi chiama uno per uno: vi raccomando la preghiera “kyrie, Signore”. Recitatela anche da soli, ditela cento, mille volte, provando a guardare un crocifisso e sentirete la grazia della comunione con Gesù presente e vivo. “Kyrie abbi pietà di me, Signore, mio Dio, salvami”, è la parola della fede che diciamo qui, sulla tomba di Pietro, con la fede che avete ricevuto e che ora deve diventare personale».
La seconda parola, continua, è ebraica: è l’alleluia della gioia piena, della Pasqua, quella che si deve cantare insieme perché la gioia è sempre un’esperienza comunitaria. «Magari alcuni dei vostri compagni vi hanno preso in giro perché avete scelto di venire in pellegrinaggio, ma voi dovete contagiarli con la gioia e cantare insieme con la Chiesa la lode al Signore per tutto ciò che ha creato. È lo stupore della gioia imprevista che raggiunge anche dopo una giornata difficile; è la gioia da condividere con i fratelli e sorelle che hanno la nostra fede perché Gesù ci ha salvati; è l’invito da rivolgere a ogni donna e uomo per fare alzare la testa dalla tristezza, dicendo: “Guardate che è Gesù è vivo”».
Infine, la terza parola, sempre dall’ebraico: amen, che vuole dire «così sia» e «mi affido», che è il «sì». «È la parola della risposta alla vocazione e della vita perché qualcuno ci ha chiamati, la parola che fa sognare un futuro. Entusiasmatevi nell’essere interlocutori di una parola che viene da Dio quando intuite che c’è del bene da fare, che potete essere di aiuto. Il Signore vi chiama attraverso il gemito della gente che è sola, che soffre, che è malata. Vi chiama a sognare la scelta per il vostro futuro, non solo per la prossima estate».
Il riferimento è a Maria, con la sua esemplarità nella risposta, come aveva ricordato ieri il Papa in piazza San Pietro: «Queste parole sono presenti in ogni liturgia, quindi vi dico: andate a Messa per dirle e impararle bene». Il pensiero va, soprattutto, ai giovani della terza media. «La vostra è una stagione interessante, quella in cui si inizia un nuovo cammino in una nuova scuola: siate i ragazzi del kyrie, dell’alleluia, dell’amen».
La celebrazione
Poi la professione di fede con la rinnovazione delle promesse battesimali, i canti, eseguiti da cori ambrosiani provenienti dai Decanati di Varese e Luino e dal Collegio Rotondi di Gorla Minore, cui si unisce tutta l’assemblea coinvolta anche – come in una piccola GMG lombarda – nel canto episcopale del’Arcivescovo, Plena est terra gloria eius e nel ritmico battimani del Jesus Chist you are my life e dell’Emmanuel.
Infine, la gratitudine e l’incoraggiamento è per i preti, consacrati e consacrate, «perché hanno detto il grande amen della loro vita, decidendo per sempre la loro vocazione. Così anche i seminaristi, novizi e novizie – cui va un caloroso applauso, ndr – che hanno intuito la vocazione. Tutti siamo chiamati a dire il grande amen nella fede ognuno nel proprio cammino personale e nelle scelte definitive». Il «grazie» diventa anche un segno simbolico, quando l’Arcivescovo consegna ad alcuni di loro una piccola immaginetta con una preghiera per le vocazioni.
Intervista a giovani di Gessate | Federico, educatore in oratorio | Intervista al seminarista Edoardo Mauri
Il saluto dei Vescovi
A conclusione sono i tre vescovi lombardi a indirizzare un breve saluto ai ragazzi delle loro diocesi.
Monsignor Beschi osserva: «Che meraviglia, mi sono detto vedendovi. Che voi siate stati capaci di coinvolgere altri amici in questo pellegrinaggio mi ha sorpreso ed è per me una ragione di una grande speranza».
Aggiunge monsignor Gianotti: «La Chiesa di Crema è piccola e siamo la più giovane della Lombardia, ma penso che, nella sua giovinezza, può aiutare, come il discepolo più giovane, a riconoscere e a testimoniare la presenza del Signore».
Monsignor Gervasoni chiede ai “suoi” e a tutti di scegliere un’immagine «che legherete per sempre a questa celebrazione», con quattro suggerimenti: «Il baldacchino di San Pietro che ricorda la tenda, la Chiesa che abbraccia tutto il mondo; la Pietà di Michelangelo; San Pietro che benedice e che qui è sepolto e la vetrata che rappresenta lo Spirito santo».
Ormai – quasi due ore sono volate – è tempo di salutarsi con la benedizione e con un «grazie» gridato a pieni polmoni verso il Papa.