I discepoli sbagliati, presuntuosi, inclini alle chiacchiere, delusi e scettici, appartenenti a comunità disastrate che pure il Signore non abbandona mai. Insomma, noi. Tutti quelli a cui l’Arcivescovo, presiedendo la Messa in Coena Domini in Duomo – concelebrata dai Canonici del Capitolo metropolitano e membri del Cem -, rivolge un invito a riflettere nella sera con la quale inizia il Triduo pasquale. Celebrazione aperta, dopo 2 anni, dal rito della lavanda dei piedi, compiuto su 12 rappresentanti dei “Gruppi Barnaba” per gli altrettanti Decanati della Città di Milano in cui si sta svolgendo la Visita pastorale.
La presunzione di Pietro
Dalle figure di Pietro, Giona e dalla Comunità di Corinto, si avvia la riflessione del vescovo Mario.
Pietro che crede di non poter rinnegare il suo Signore, «è sbagliato: è presuntuoso. Siamo sbagliati se siamo presuntuosi, convinti di essere nel giusto, cultori di una immagine edificante e inconsistente. Suscettibili di fronte alle critiche, troppo severi nei confronti degli altri, troppo inclini ad argomentare per giustificare comportamenti contraddittori. La presunzione è sconfitta da una paura minima, dal timore di risultare antipatici, di essere coinvolti nell’impopolarità di Gesù, di essere riconosciuti come “uno di loro”, cioè gente di Chiesa, di questa Chiesa. Forse abbiamo buone ragioni per essere delusi di noi stessi. Ci rimane solo un pianto amaro?».
Lo scetticismo di Giona
Anche Giona è sbagliato. Il suo scetticismo è infondato. Neppure l’evidenza dei fatti lo guarisce e lo recupera alla gioia, alla partecipazione ai sentimenti di misericordia di Dio. Gli rimane solo il risentimento? Siamo anche noi siamo sbagliati perché siamo scettici. Le esperienze ci hanno indotto a non aver stima della gente, a ritenere irrimediabili le situazioni, impraticabile ogni missione di evangelizzazione. Ci rimane solo allora, il risentimento?».
La comunità di Corinto
E così – prosegue l’Arcivescovo – «l’aria che tira è sbagliata, perché domina la delusione: Il malcontento, il malumore si ritrovano spesso come il clima dominante delle nostre comunità. Abbiamo tutti da dire di tutti: dei preti, dei presenti, degli assenti, della pratica della carità, del modo di celebrare, di cantare, di leggere. Una specie di indiscutibile delusione copre tutto di un grigiore scoraggiante. La comunità è un disastro. Siamo delusi. Ci rimane solo il rimprovero?
Ci rimangono solo le lacrime di Pietro, il risentimento di Giona, la delusione?»
L’alleanza nuova ed eterna
No, se crediamo nell’alleanza nuova ed eterna con il Signore, ossia «la decisione irrevocabile, amorevole, ostinata di Gesù di fare alleanza con questi discepoli sbagliati, con questi profeti ribelli, con queste comunità disastrate a prezzo del suo sangue; dichiara che non abbandonerà mai nessuno, che accetta il tradimento, la fuga, l’ottusa incomprensione e stringe alleanza con questa gente sbagliata. Ancora e sempre».
E, naturalmente, rimane l’eucaristia.
«Ecco dunque quello che ci rimane. Continuiamo a celebrare l’eucaristia, sbagliati come siamo, perché ci trasformi, ci conformi a Gesù e noi, così sbagliati come siamo possiamo, per grazia, diventare memoria di lui».
Infine, dopo tanti gesti e momenti di devozione e raccoglimento peculiari Messa intra vesperas del giovedì santo – come il canto “Coenae tuae”, tradizionale del rito ambrosiano, finalmente intonato dai Pueri cantores che circondano l’altare -, è l’eucaristia a essere portata, in processione, all’altare della Riposizione, dove resterà fino alla Veglia Pasquale.