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La Diocesi nel Cammino sinodale

Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Intervista

Sequeri: «Verso la sinodalità della realizzazione»

Il teologo, nuovamente tra gli esperti alla sessione sinodale che si apre il 2 ottobre, sottolinea: «Non stiamo vivendo un evento, ma un processo, e dobbiamo passare dall’ascolto all’esercizio e all’attuazione. Mi piacerebbe che venisse approfondito il rapporto tra fede e cultura nella vita concreta, quotidiana»

di Annamaria BRACCINI

30 Settembre 2024
Foto Vatican Media / Sir

«Una prima realizzazione dello spirito sinodale risiede nel fatto che è un Sinodo che in un certo modo continua, sia pure in forme diverse, e che, quindi, si sviluppa, diventa un processo e non semplicemente un evento. Questo è un segnale di grande interesse, come anche l’Instrumentum laboris»: monsignor Pierangelo Sequeri, teologo di fama internazionale ed esperto al Sinodo stesso, definisce così quello che già più volte ha chiamato il «guadagno» dell’assise universale.

Alla vigilia dell’inizio della seconda e conclusiva Sessione del Sinodo dei Vescovi, come immagina che possa svolgersi questa fase e, soprattutto, quali obiettivi dovrebbe centrare?
In questo caso, come sapete, sono già al lavoro – un lavoro non marginale, non di aggiustamento o adattamento, ma di riflessione – 10 gruppi di studio ritagliati all’interno dell’Assemblea sinodale che affronteranno altrettanti ambiti, in un lasso di tempo di almeno un anno, come indica l’Instrumentum laboris, spiegando che dovranno completare l’approfondimento se possibile entro giugno 2025. Quando nell’Instrumentum si parla di relazioni e di luoghi da mettere a fuoco, si dice questo, cioè come il Sinodo continua. Così diventa subito evidente che non si tratterà semplicemente di fare assemblee parrocchiali o diocesane tutte le settimane, come a ripetere il Sinodo più volte, ma piuttosto di prendere ispirazione da questo sviluppo. La sinodalità è un modo di essere Chiesa che si alimenta nel momento in cui diventa un processo, come ama dire il Papa, e questa sarà la sua destinazione; quindi, non la moltiplicazione di assemblee sinodali che potranno realizzarsi nel momento in cui vi sarà bisogno, ma l’allestimento della sinodalità quale processo e non evento, come è stata per lo più immaginata finora. Credo che questo sia l’orizzonte che si profila per la prossima Sessione.

Monsignor Pierangelo Sequeri

Al termine della prima Sessione, lo scorso ottobre, lei si disse colpito dall’ascolto reciproco che si era realizzato all’interno dell’assise. Ritiene che questo modo di ascoltarsi sia entrato come costume nella vita della Chiesa?
Penso di sì e questo è un dato che sarà ulteriormente confermato: ossia l’intuizione che, quando ci si raduna, il problema non è semplicemente avanzare una tesi e cercare di difenderla contro quelle di altri a fronte delle contestazioni, ma prima di tutto raccogliere l’insieme delle idee che emergono dalla discussione. Al Sinodo questo è avvenuto sul campo, ma secondo me è un dato già consolidato anche nelle parrocchie. Penso che, invece, vi sarà bisogno di un poco più di attenzione e di precisione per quanto riguarda il tipo di approdo di questo stile dell’ascolto. Si tratta di realizzare l’ascolto intorno a temi che valgano veramente nella vita della Chiesa, per arrivare a uno stile di partecipazione alla loro realizzazione. È l’apprendistato della sinodalità della realizzazione e ritengo che su questo la prossima Sessione dovrà essere generosa, fornendo qualche indicazione, in modo che la comunità possa fare anche un passo ulteriore, quello dalla sinodalità dell’ascolto alla sinodalità dell’esercizio e dell’attuazione.

C’è un tema o una questione magari già emersa l’anno scorso e che le piacerebbe fosse particolarmente approfondita?
Sì, certo. L’attenzione oggi è un po’ spostata verso altre urgenze, però non mi dispiacerebbe se si facesse strada l’idea che i carismi, i doni dello Spirito per una comunità cristiana sono anche le vite delle persone, familiari, professionali, relazionali, educative. Credo che questi siano carismi solidi e che sia importante riflettere su tali carismi concreti che coincidono con la vita, riconoscendoli come forme del modo con cui la qualità cristiana rende testimonianza al mistero di Dio nel mondo. È un rapporto tra fede e cultura che deve interessarci. Una relazione che, tra gli intellettuali di alto profilo c’è già, anche se pochi li ascoltano. Ci sono filosofi molto interessati a parlare del Vangelo e persino dei doni, di quel tesoro per loro simbolico che il Cristianesimo ha. Ma bisogna andare oltre, a livello concreto, che è, poi appunto, il livello delle professioni, dell’esercizio della vita civile da parte del cristiano, in un dialogo tra fede e cultura che diviene, così, un modo di intrecciare la vita, le qualità, le competenze che si hanno con la testimonianza. Questo si potrebbe visualizzare di più.

Forse si tratta anche di cambiare i linguaggi finora utilizzati?
Il mondo, la cultura, la condizione sociale odierna, dal punto di vista dell’osservazione ecclesiastica, sembrano più un fascio di problemi che non interlocutori. In questo momento il mondo sta arrancando, com’è evidente, e ha bisogno anch’esso di un linguaggio diverso da quello personalistico cui si era abituato. Bisogna avere, allora, come Chiesa, un linguaggio che declini il concetto di missione, di appartenenza, di testimonianza sullo spessore di un mondo fatto delle persone reali che lo abitano.

Con quale spirito affronta questa seconda Sessione sinodale?
Ho il desiderio più che altro di essere utile, perché ormai sono un po’ anziano. Mi sono rimaste poche cartucce, per così dire, ma quelle che ho sono contento di poterle mettere ancora a disposizione della Chiesa e del popolo di Dio.

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