Oggi più che mai si notano gli effetti del decreto legge sulla depenalizzazione, ribattezzato «svuota-carceri» e approvato mesi fa. Un provvedimento che ha portato alla riduzione del numero di ingressi negli istituti di pena e ha anticipato le uscite dei detenuti. Una scelta obbligata per l’Italia, che altrimenti rischiava pesanti sanzioni della Corte europea per il sovraffollamento delle carceri e la violazione dei diritti umani. «È stato pensato soprattutto per gli istituti penitenziari degli adulti – commenta don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto minorile Beccaria e presidente dell’Associazione Kayròs – senza tenere conto delle prospettive di prevenzione minorile». In questi giorni il Beccaria si è svuotato e ciò impedisce un percorso preventivo ed educativo con i ragazzi fermati, soprattutto tra i 14 e i 16 anni. In pratica, spiega il cappellano dell’istituto minorile, «non approdano al carcere e non si può fare altro che metterli in comunità».
E prima cosa avveniva?
I minori venivano incarcerati o entravano nelle comunità, ma fino alla richiesta preliminare c’erano circa 6 mesi di tempo che permettevano di conoscere bene il ragazzo, fare una psicodiagnosi e impostare un progetto che portava alla cosiddetta messa alla prova. Tutto questo ora è impossibile e i ragazzi si conoscono davvero poco.
Nel decreto legge quindi non si è pensato a soluzioni mirate per i minori?
No. Sono in corso riflessioni e ci saranno emendamenti, però attualmente molti ragazzi sono usciti e qualcuno anche piangendo. Questo è emblematico, perché si sono trovati da un giorno all’altro nella gioia di essere liberi, ma senza aver costruito nulla. Hanno lasciato il Beccaria nella preoccupazione.
La depenalizzazione riguarda in particolari i piccoli spacciatori?
Non solo. Riguarda tutte le pene sotto i tre anni e la maggior parte dei ragazzi del Beccaria hanno commesso piccoli reati. Chi invece ha compiuto omicidi o reati più gravi, ovviamente, è ancora dentro. Oggi i ragazzi presenti al Beccaria sono circa una trentina. L’intervento della magistratura per i minorenni aveva uno scopo soprattutto preventivo e noi avevamo la possibilità di lavorare con i più piccoli impostando un progetto serio.
Ora invece cosa succede?
Dal Centro di prima accoglienza (Cpa) del Beccaria, dove arrivavano i ragazzi dopo il primo fermo, non si accede più se non per reati molto gravi. Poi da lì i minori passavano al carcere, alla comunità o agli arresti domiciliari a casa. Adesso invece restano solo le due opzioni: la comunità o il carcere. Senza contare che è meno incentivante rimanere in comunità, perché l’aggravamento in caso di fuga è di un mese al Beccaria.
Lo slogan «Non esistono ragazzi cattivi» (titolo anche di un suo libro) è la conferma che recupero e prevenzione sono possibili?
Prima questa esperienza era reale perché già il carcere non era punitivo, ma soprattutto luogo educativo, dove si faceva un lavoro di “scavo” nella personalità e di accompagnamento. Adesso è chiaro che il Beccaria rimane carcere a tutti gli effetti e sarà utilizzato per i reati più gravi o per l’aggravamento di un mese, ma non permetterà un lavoro educativo. I ragazzi vengono così penalizzati e non aiutati. Anche per i minorenni che vanno agli arresti domiciliari a casa non si può costruire molto.
Quindi questo decreto per i ragazzi è…
Una tegola. Il Centro giustizia minorile è andato in crisi perché ha dovuto all’improvviso collocare nelle comunità una trentina di ragazzi, ma i posti a disposizione non soddisfano i bisogni. Dovrà quindi scattare un confronto tra la giustizia minorile e la magistratura, perché ora i minorenni hanno meno chances. Inoltre andranno ridefiniti i criteri di scelta tra la comunità e gli arresti domiciliari.