Gesù dichiara che la buona notizia è per i poveri. «Lo Spirito del Signore Dio è su di me. Il Signore mi ha dato l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri» (Is 61,1). Così scrive, nelle sue prime battute, Dominique Barthélemy in Il povero scelto come Signore.
Spesso mi chiedo che cosa sia la povertà per me sacerdote, come insegnante e come educatore. Spesso mi chiedo come potrei viverla al meglio. Ma ancora più spesso mi chiedo chi sono i poveri che incontro, chi è il povero per me.
La povertà non è semplice da vivere, soprattutto quando ti arriva alle spalle con una forte irruenza: non puoi sceglierla, ma al massimo, come mi sembra di aver capito, puoi solo “prendere” il povero che eleggerai come Signore della tua vita e darà senso a tutto il tuo agire. I miei poveri allora non sono coloro che mi chiedono dei soldi, non sono quelli che vogliono cose, ma sono i miei parrocchiani “più difficili”, sono i miei alunni più problematici, insomma sono tutti coloro che toccano la mia povertà, sono tutti coloro che vogliono far crollare, inconsapevolmente, la mia parte più ricca, più tronfia e piena di sé.
Una mattina mi è capitato questo: con uno dei mie alunni più difficili dovevo appendere dei grossi e spessi cartelloni sulla parete. Le puntine non bastavano, si rompevano di continuo. Abbiamo allora dovuto prendere chiodi e martello. L’operazione si sarebbe fatta più complicata: rumore a scuola, sicurezza incerta, possibilità di rovinare il muro e grande lentezza. Il problema non è stato questo. Il ragazzo “difficile” voleva appendere questo cartellone storto alla parete; invece io l’avrei messo bello dritto e velocemente. A un certo punto mi sono fermato e mi sono detto: «Ma perché tutto deve essere come dico io? Ma chi lo ha detto che quel cartellone non può essere appeso storto?». Quella volta non dissi nulla e il cartellone venne appeso storto.
Che fatica accettare che i nostri schemi cadano! Che fatica fare le cose lentamente, aspettando e rispettando il ritmo dell’altro che ti sta di fronte! Che fatica enorme potersi dire che anche una soluzione diversa dalla tua può essere buona e, magari, migliore!
Come avvicinarci e stare davanti a questa povertà? Stare davanti a questa povertà che forse non è dell’altro perché disabile, “difficile” o altro, ma è la nostra che non accettiamo di vedere e abbracciare. Il rischio che corriamo è sempre quello dell’efficienza. Siamo figli del nostro tempo, vogliamo produrre e portare a casa più cose possibili: compiti, abilità, soldi, guadagni. Tuttavia ciò sembra non portarci molto lontani come uomini di fede. Sembra non farci fare dei passi.
Josè Tolentino Mendonça, in La mistica dell’istante, citando gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, dice: «Non è l’abbondanza del sapere che sazia e soddisfa l’anima, ma sentire e gustare le cose intensamente». Sentire e gustare -continua l’autore – racchiudono in sé molto dell’esperienza di Dio che egli ci propone. Quello a cui accediamo è un viaggio interiore, ma che parte dai nostri sensi e dal loro operato, dai sentimenti in cui investiamo e dagli affetti che costruiamo. Solo così l’esperienza di Dio può divenire un’esperienza integrale che effettivamente ci muove.
Come fare a incontrare il povero? Come fare a incontrar-mi? Come incontrare l’altro “difficile”, povero, disabile? Cosa dice alla nostra fede tutto questo?
Il sacerdote portoghese citato precedentemente racconta una storiella divertente riportata dalla pittrice Lourdes de Castro: «C’erano giorni in cui il telefono non smetteva mai di suonare, in cui le scadenze si facevano strette e tutto, all’improvviso, richiedeva una velocità maggiore di quella che il buon senso avrebbe voluto. Allora lei e il marito, Manuel Zimbro, prendevano a camminare al rallentatore, con gesti teatrali, per la casa. E sfuggendo in questo modo all’assedio, potevano ridere, guadagnare tempo e distanza critica, trovare altre strade, riavvicinarsi, ricostituirsi. Ciascuno dovrà trovare le modalità della lentezza a lui più congeniali».
Non esiste una sola strada, ne esistono molte. Ognuno trovi la modalità della lentezza a lui più congeniale.