Sono stati 50 anni molto “combattuti” quelli del Servizio civile, dall’antimilitarismo dei primi obiettori che portarono alla prima legge del 1972, al volontariato universale (retribuito) che, dopo l’abolizione della leva, ha già coinvolto oltre 500 mila giovani. Nel numero di dicembre de «Il Segno», il mensile della Chiesa ambrosiana, ne fa un bilancio critico il sociologo Maurizio Ambrosini, sottolineando come, anche se nella normativa resta tuttora centrale il richiamo alla pace e alla nonviolenza, questi ideali non siano oggi che una delle motivazioni che spingono a scegliere i 12 mesi di servizio civile.
I primi 4 obiettori erano delle diocesi di Genova e Milano (negli anni i convenzionati con Caritas ambrosiana sono stati oltre 20 mila), impegnati in cinque ambiti: grave emarginazione, disabilità, anziani, minori, stranieri. Su «Il Segno» Roberto Rambaldi, in servizio nel 1977, racconta la sua esperienza dopo il terremoto in Friuli. Come lo si voglia giudicare, uno dei meriti di questo mezzo secolo di servizio civile è stato comunque quello di far nascere in Italia un movimento pacifista concreto e maturo, capace di fare proposte e – in centinaia di progetti all’estero – anche di prevenire i conflitti, nel silenzio dei mass media. «Fare la pace non è solo fermare la guerra», spiega nella rivista Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace e disarmo e protagonista della grande manifestazione del 5 novembre a Roma, ma anche difendere i diritti, occuparsi di economia sostenibile, di crisi climatica, ecc.
Una donna come premier
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, passerà alla storia come prima donna premier in Italia. Ma come governerà? Sarà “madre della nazione” o “regina guerriera”? Ne «Il Segno» se lo chiede la politologa e saggista Chiara Tintori, che firma il pezzo di opinione: «Non dimentichiamo che la sua cultura politica è espressione di una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani».
Un servizio del mensile è dedicato alla fine del turismo sciistico: la scarsità di neve e l’aumento della temperatura rendono difficile la sopravvivenza degli impianti a bassa quota; entro 15 anni molti potrebbero chiudere. A Monte San Primo (1680 m.), vetta del triangolo Lariano, è già avvenuto. Il paradosso è che ora si rischia una riqualificazione senza futuro, con una spesa pubblica pari a 5 milioni di euro, fondi che sarebbe meglio utilizzare per un rilancio turistico più sostenibile. È inutile sparare neve con i cannoni e martoriare il terreno: «Bisogna cambiare mentalità sullo sci di discesa e trasformarlo in uno sport che si pratica solo quando la neve c’è». Il rapporto di Legambiente Nevediversa 2002 elenca gli impianti in Italia divenuti oggetto di “accanimento terapeutico”.
I quartieri Barona e Giambellino esprimono una loro vivacità, pur in mezzo alle difficoltà: in forte crescita i ragazzi che abbandonano la scuola o si lasciano bocciare rincorrendo i miti dei rapper, mentre le famiglie lottano tra problemi abitativi, lavori precari e disagio sociale. Le due aree sono raccontate nella quarta delle inchieste dedicate alla visita pastorale: l’arcivescovo Delpini sarà infatti in questi quartieri tra il 12 e il 29 gennaio.
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