Come annunciare il Vangelo attraverso l’arte? Lo abbiamo chiesto a padre Jean-Paul Hernandez, gesuita e teologo, nato in Svizzera, ma «europeo mediterraneo», tra i fondatori di «Pietre Vive», una rete di nuova evangelizzazione diffusa negli anni in diverse città europee e del mondo e che lui ripropone in Italia (con due appuntamenti in programma il 18 e il 19 novembre tra Seveso e Milano, vedi box sotto): «Giovani che annunciano a chi entra in una chiesa l’amore gratuito che è Dio attraverso la spiegazione dell’arte e dell’architettura, la Bellezza attraverso la bellezza». Un’esperienza simile a quella nata nella Diocesi di Milano con «La Via della bellezza» (leggi qui) che nei week-end aperti vede giovani accompagnare alla scoperta delle chiese milanesi, con l’aggiunta recente del Santuario della Beata Vergine Addolorata di Rho.
Quale fu il punto di svolta, legato alla bellezza dell’arte e alla sua gratuità, e come ha ispirato il suo cammino di fede?
Alla fine della mia formazione, agli inizi degli anni 2000, mi sono trovato a conoscere un gruppo di amici gesuiti e laici, che – rattristati di come le guide turistiche e tour operator illustravano il Duomo di Francoforte, con informazioni riduttive e a volte di critica contro la Chiesa -, studiando la ricchezza simbolica spirituale, teologica, filosofica, avevano costituito un gruppo che si era messo a disposizione della Cattedrale per accogliere turisti e pellegrini. Non la solita «pappardella» imparata a memoria, ma un far sentire a casa, far vivere un’esperienza di relazione, la testimonianza che la comunità cristiana è viva. Fu una svolta importante, dirompente, che ho visto nascere e a cui partecipai in quei primi mesi, e che mi infiammò.
La bellezza dell’arte può ricordarci che l’uomo è capace, con i suoi talenti, di realizzare qualcosa di sorprendente e meraviglioso, e avvicinare a Dio, autore della grandiosa e infinita bellezza del Creato…
Nella tradizione dell’antropologia biblica l’arte ha una doppia faccia: secondo i racconti simbolici del libro dell’Esodo, Dio dona a Israele la capacità tecnica-artistica per un solo scopo, costruire il santuario, ai piedi del Sinai, a mo’ di tenda. E che cosa fa il popolo appena riceve questa capacità artistica data da Dio solo per costruire il santuario? Costruisce il vitello d’oro, l’anti-tempio, l’idolo per eccellenza. È interessante che l’arte si trovi sempre su questo crinale fra l’essere santuario – luogo per incontrare Dio, che rimanda a più di se stesso, a un oltre e favorisce un incontro – oppure facilmente può scivolare sull’altro versante: l’arte che diventa idolatria, che magnifica e rimanda solo a se stessa. Certamente, fin dalle origini della Chiesa, il cristianesimo si è lanciato in questo rischio, in questa avventura figurativa: ha adottato questo modo di esprimersi perché, in fondo, realizzare un’immagine di un episodio sacro o del volto di Cristo equivale a ricordare che Dio si è lasciato vedere. L’arte cristiana è un memoriale dell’Incarnazione, di quella rivoluzione strepitosa – fino a Cristo era un Dio invisibile e sconosciuto, nascosto, inafferrabile – che con Gesù è un Dio che si consegna allo sguardo.
È appena iniziato l’Avvento ambrosiano. Come possiamo prepararci ad accogliere il Signore che viene? Come possiamo parlare di questo mistero, ai giovani in particolare, magari educando proprio attraverso l’arte?
Uno dei temi che approfondirò in questi incontri sarà il tema dell’abside: nella grande architettura sacra, fin dalle origini, il luogo dell’avvento, «la vera porta», non è la porta da cui entriamo, ma è l’abside, la porta attraverso la quale (simbolicamente) Dio entra; il suo tempio non è la chiesa, è al di là, è il cielo. Quando si costruiscono le prime basiliche, si utilizza un modello edilizio romano profano, la basilica romana, per dire che il nostro Dio lo incontriamo in un luogo profano, cioè nel quotidiano: la basilica romana precristiana era il luogo dove si facevano gli affari, il commercio, la politica, dove si amministrava la giustizia… le cose, diremmo noi, che nella società “contano”. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio incarnato: o lo si incontra nelle cose che contano o non lo incontri. Il nostro Dio entra in questi gangli e nodi profondi del quotidiano. Allora l’abside era quella speranza che, in quel luogo così profano, da questa porta rivolta a Oriente, il Signore venisse in mezzo a noi. Siamo noi la Chiesa, l’assemblea, il tempio, quando stiamo invocando, pregando, aspettando il Signore che adviene attraverso l’abside. Il tempo di Avvento sintetizza che cos’è la Chiesa: è un popolo in attesa. Guardando quella porta che è l’abside iniziamo a riconoscere, forse, che il Signore viene. Con l’occhio impregnato di questa bellezza, potremo allora uscire dalla chiesa e immergerci nella nostra quotidianità, riconoscendo la sua venuta.