È la celebrazione in cui vengono benedetti gli Oli del Crisma, dei Catecumeni e degli Infermi, e in cui si celebra la comunione del Vescovo con i suoi presbiteri, evidente nel rinnovo delle promesse sacerdotali che segue l’omelia. Questo fa della Messa crismale, presieduta questa mattina in Duomo dal cardinale Scola e concelebrata dal clero ambrosiano, uno degli appuntamenti centrali dell’anno liturgico. Tra i concelebranti, l’Arcivescovo emerito, cardinale Dionigi Tettamanzi, il Vicario generale monsignor Mario Delpini, i Vescovi ausiliari e i Vicari episcopali.
Quest’anno gli Oli santi sono quelli donati all’Arcivescovo dai frati minori della Custodia di Terra Santa al termine della Messa celebrata nella Basilica del Getsemani, durante il pellegrinaggio diocesano di fine 2014. Un dono preziosissimo e altamente simbolico, dato che si tratta dell’olio prodotto con i frutti degli ulivi millenari del Getsemani.
Nell’omelia (in allegato il testo integrale) il cardinale Scola ha voluto sottolineare appunto il legame profondo tra il Crisma e il popolo sacerdotale: «La Messa Crismale esprime questa nostra identità di “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui” (dalla prima lettura, 1Pt 2,9). Il santo Crisma, l’olio dei Catecumeni e quello degli infermi che verranno consacrati per benefici scopi indicano con forza sensibile la nostra identità di cristiani». E ha citato il poeta Paul Claudel: «La stessa parola Cristo e cristiano significa unzione».
L’Arcivescovo ha poi tracciato un ritratto di questo “popolo sacerdotale”, segnato dal Crisma, individuandone alcune caratteristiche: «Innanzitutto siamo “un popolo che Dio si è acquistato”, perciò siamo popolo sacerdotale unicamente in forza dell’elezione misericordiosa del Padre in Gesù per il dono dello Spirito». E a rafforzare questo concetto il Cardinale ha anche ricordato le parole di San Giovanni Paolo II, di cui oggi ricorre il 10° anniversario della morte: «Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà soprannaturale perché si radica nel sacramento dell’Ordine. Questo è la sua fonte, la sua origine. È il “luogo” della sua nascita e della sua crescita (Pastores dabo vobis, 74)».
In secondo luogo, il ministero del sacerdote è per sua stessa essenza un ministero comunitario, rivolto al bene di tutta la famiglia umana, fin da quando Gesù chiamò a sé i dodici e li mandò a due a due, come si legge nel Vangelo di Marco letto durante la celebrazione: «Fin dall’origine, la chiamata a seguire Gesù e a servire la Sua opera di salvezza può quindi avere solo una forma comunitaria».
La consapevolezza della imprescindibile forma comunitaria del ministero presbiteriale, ha spiegato l’Arcivescovo, è stata al centro della riflessione della diocesi durante tutto l’anno pastorale, dedicato all’approfondimento di alcuni elementi fondamentali del ministero. Da essa discende il legame profondo tra i presbiteri e il loro Pastore. I sacerdoti sono come una grande famiglia, di cui il Vescovo è il padre: «L’essere collaboratori del Vescovo – ha sottolineato – non è un aggiunta, ma fa parte dell’essenza del sacramento dell’ordine».
Queste caratteristiche del presbiterio dovrebbero essere scontate, ma spesso vengono scordate, ha rilevato l’Arcivescovo: questo «perché non accettiamo la pressante provocazione a passare dal mondo delle idee e delle pure intenzioni a quella assunzione nella carne della natura della vita cristiana e del nostro ministero che ci domanda di piegarci all’amore di Cristo che ci urge».
L’Arcivescovo ha concluso con un invito alla fiducia rivolto a tutti i suoi preti: «Mi capita di incontrare laici che mi dicono: “Trovo sacerdoti sfiduciati”. I tempi sono così difficili, l’Europa sta passando da un nichilismo borghese a uno scenario buio, forse tempestoso. Quale futuro ci attende? Non dobbiamo temere perché la natura della nostra vocazione è limpida e la nostra missione, che il Vangelo ci ha descritto, è semmai ancor più urgente. A condizione di donare la nostra vita a Gesù nei fratelli. E non dobbiamo dimenticare che con l’ordinazione noi l’abbiamo già donata. Questo libera da ogni angoscia, ansia o cattivo timore».
Ma Scola ha affidato ai suoi preti anche un interrogativo: «La sfiducia non può nascere da una mera sopportazione della rinuncia, quando viene l’ora, all’ufficio, al ruolo, troppo spesso identificato con l’essenza stessa della missione sacerdotale? Non proviene forse dalla ricerca, più o meno consapevole, di una “sistemazione”, in età ancora giovanile, in compiti o ambienti che pensiamo di meglio dominare perché ci paiono più consoni?». Concludendo: «Siamo invitati ad affrontare, con consapevolezza critica e docilità costruttiva, le destinazioni che ci vengono proposte, anche quando fossero segnate dai limiti delle scelte del Vescovo e dei suoi più diretti collaboratori alla guida sinodale della nostra Chiesa». E ha aggiunto: «Sosteniamoci con carità nel vivere la comunione presbiterale».
Alla fine della celebrazione l’Arcivescovo ha invitato a pregare per tutti i sacerdoti che si trovano nella difficoltà e nella sofferenza, rivolgendo una parola anche a coloro che, per differenti ragioni, hanno abbandonato il ministero. Ha poi esteso la sua benedizione a tutti i fedeli, in particolare ai più deboli, come bambini, anziani, poveri, carcerati.