Si ritrovano nel luogo e nel giorno esatto da cui erano partiti cinquant’anni fa verso il Duomo di Milano, verso la loro ordinazione sacerdotale, e infatti chiamano il loro ritrovarsi «un ritorno alla sorgente». È la “classe” 1966 che, attraversando la Porta Santa del Santuario della Beata Vergine Addolorata di Rho, alla presenza del cardinale Scola, coronano la festa per il loro cinquantesimo di Messa, che li portati a incontrare il cardinale Ravasi (anche lui prete del ’66), papa Francesco e il papa emerito Benedetto.
Sono una trentina: dei 74 ordinati il 28 giugno di mezzo secolo fa, oltre 30 sono morti, qualcuno è malato, altri non hanno potuto partecipare al momento residenziale di Rho, che ha visto ieri la predicazione di monsignor Renato Corti e un “caminetto” con il vicario generale, monsignor Mario Delpini. Ma l’attesa è tutta per la celebrazione presieduta dal cardinale Scola «molto lieto – dice subito -, di poter partecipare alla festa per un anniversario che è carico di significato e di valore». Accanto all’Arcivescovo, all’altare, ci sono i due vicari episcopali, il vescovo monsignor Luigi Stucchi e monsignor Giampaolo Citterio.
I doni di Dio
«I sacerdoti della nostra generazione hanno già attraversato un lungo tratto di cammino, ma ciò che sembra a me vantaggioso, per la nostra Chiesa, è mettere a fuoco la biografia, cioè l’assimilazione paziente dei doni grandi di Dio nella nostra vita – osserva il Cardinale -. A essa guardiamo volgendoci indietro, forse per la percezione delle forze più deboli o per l’incombenza della trasfigurazione della morte, mentre facciamo meno attenzione al destino del paradiso che ci attende e a tutto ciò che ci è stato dato». Il pensiero è «al bene che il nostro popolo ci ha fatto, a quanto la misericordia di Dio ci ha orientato, nonostante le mancanze, verso una proposta di bene nel Ministero».
«Credo che la vostra festa, quindi, non debba esse orientata al passato, al “ti ricordi?”, ma al destino di pienezza così come dice Paolo, ossia che saremo sempre con il Signore, la più bella definizione di paradiso che esista. Certo, alla base c’è il dono della fede che molti di noi hanno imparato a respirare, con grande naturalezza e semplicità, fin da bambini. Fede che è una perla preziosa per l’umanità sfinita, per questo tempo segnato da tragicità».
Grazia per tutti
Nel riferimento alla Liturgia della Parola e al Vangelo di Luca con la guarigione della figlia di Giairo, Scola nota ancora: «Tutto l’impianto dei miracoli è teso a manifestare come la fede in Gesù sia la chiave di volta dell’esistenza. Una fede che Gesù stesso vede in Giairo, commuovendosi e traendo dal profondo la sua potenza taumaturgica. Al di là di tutte le critiche che si fanno oggi al mondo dei miracoli, è la concretezza della scena», che convince, suggerisce l’Arcivescovo. Infatti, «vediamo già il dilatarsi della missione di Gesù con un abbraccio potente e profondo rivolto verso ogni uomo è donna. Cristo si lascia toccare dal bisogno e dalla sofferenza di chi gli sta intorno e apre la sua possibilità di grazia a tutti». Da qui la sottolineatura di due elementi peculiari: «La fede semplice e umile che non ha bisogno di ideologie per essere sorretta e la fede che ha il coraggio di proporre Cristo in qualsiasi condizione umana l’uomo versi, spalancata a cogliere ogni moto di conversione e di verità».
«C’è forse un annuncio più bello e potente di quello del Vangelo? Il nostro Ministero persegue e continua nell’annuncio chiaro di Cristo, lasciandoci guardare da Lui per avere l’energia e il coraggio di guardare avanti».
Usare bene il tempo
In conclusione la citazione è dall’Adversus haereses di Sant’Ireneo, di cui ricorre la memoria liturgica del giorno, «uno dei più grandi teologi, l’uomo che ha esposto per la prima volta in termini organici la proposta della fede, in modo che può essere considerato tra i massimi pensatori cristiani esistiti».
Scriveva Sant’Ireneo: «Fin dal principio il Figlio è con il Padre e ha mostrato al genere umano le visioni profetiche, le diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre, secondo un disegno che è tutto ordine e armonia. Molte dimore ci saranno presso il Padre, perché sono molte le membra del corpo». «Noi siamo una di queste membra e possiamo partecipare di un tale principio di ordine e di armonia che ci insegnerà a usare bene il nostro tempo in modo che noi stessi e il popolo ne trarremo beneficio. Siamo chiamati a donare la vita a tutto il popolo santo di Dio, non siamo degli specialisti».
Consegna sulla quale il Cardinale, che dona personalmente la pace a ciascuno dei sacerdoti, torna alla fine della celebrazione: «In questa circostanza è bene che il nostro abbraccio sia più integrale possibile nella verità e nella carità. In questo cinquantesimo chiediamo che cresca in noi la consapevolezza di essere mandati a tutti».
Poi, il dialogo informale tra domande poste dai presenti e risposte dell’Arcivescovo prima del momento conviviale vissuto insieme.