«Nella nuova parentela istituita da Cristo sulla croce, che ci rende tutti fratelli e sorelle, prepararsi alla Pasqua significa scoprire una nuova solidarietà e fraternità»: questa la consegna che il cardinale Scola lascia alle 3000 persone che a Gaggiano, nella VI Zona pastorale, seguono con l’Arcivescovo la Croce di San Carlo e la reliquia del Santo Chiodo.
Nella suggestiva cornice di un paese ancora a dimensione d’uomo, tra campagne e Naviglio Grande, si parte dal Santuario di San’Invenzio, dedicato al vescovo di Pavia e risalente al 1573, dalla bella facciata e struttura barocca. Interessante che, all’interno, vi sia un pregevole affresco raffigurante la Madonna delle Grazie, dalla fama miracolosa, cui il popolo si affidava durante la peste dei primi decenni del 1600.
I fedeli – che si sono preparati al Rito con un attento lavoro e, nel pomeriggio, con l’accoglienza della Croce, la Messa, la preghiera dei ragazzi del catechismo, la celebrazione dei Vespri e l’Adorazione silenziosa – entrano nel Santuario, così come il Cardinale, che sosta brevemente in preghiera davanti alla reliquia.
La processione si snoda attraverso alcuni luoghi-simbolo scelti per le quattro Stazioni. Per la prima il Ponte Vecchio sul Naviglio – magnifico il colpo d’occhio con la Croce illuminata nell’oscurità della notte -, dove la gente ancora si ferma per incontrarsi, nel tratto che lo stesso San Carlo percorse tornando a Milano, prima di morire nel 1584. Poi piazza Daccò, all’interno della Casa comunale, spazio di ritrovo per famiglie e giovani. Si prosegue in piazza della Repubblica, sita nell’area industriale, dove su 300 aziende, dopo la crisi, ne sono attive solo 70. Infine piazza Salvo D’Acquisto, presso la chiesa dello Spirito Santo. La Croce viene portata a turno dai sacerdoti, mentre i laici tengono tra le mani le fiaccole. Accanto all’Arcivescovo ci sono il Vicario di Zona padre Maurizio Elli e il responsabile della Comunità pastorale di Gaggiano Maria Regina della Pace, don Piercarlo Fizzotti. Non mancano le autorità militari e civili, con il sindaco.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Siamo stati invitati a fissare il nostro guardo su di Lui e abbiamo potuto farlo, con particolare intensità, grazie alla forza della splendida reliquia che abbiamo avuto il privilegio di seguire». Appunto quella Santa Croce di San Carlo con il Santo Chiodo, venerate «dalla seconda metà del Cinquecento, nelle grandi occasioni e prove, come quando San Carlo scalzo, nel 1576, la portò per invocare la fine della peste», e che, oggi, devono penetrare in profondo il nostro cuore: «Questo gesto così bello e pieno di fascino non deve farci dimenticare il contenuto effettivo del dono totale di sé che il Crocifisso risorto ha compiuto per ciascuno di noi. Se questo Santo Chiodo non penetra il nostro cuore stasera, siamo degli ingrati, incapaci di dire grazie al Signore per quello che Lui continua a fare per noi, incapaci di guardare Maria che stava ai piedi della Croce».
Il riferimento è alle parole pronunciate da papa Francesco in Duomo, sabato scorso durante la sua visita a Milano: «Il Santo Padre ci ha ricordato che siamo dei rassegnati e che la rassegnazione è il peggiore dei mali, perché è sempre seguita dall’accidia, una noia sottile del vivere che ha bisogno di evasione, di chiacchiere, di curiosità banale. Il Papa ci ha detto: “No alla rassegnazione, perché non bisogna sopravvivere, ma vivere”. Per questo abbiamo portato la Croce per le strade di questa zona così importante e decisiva per la Chiesa e per la società civile».
Non a caso, suggerisce l’Arcivescovo, le preghiere e i canti hanno richiamato «il fatto impressionante che il Venerdì santo si prolunga per tutta la storia, identificando in questo Crocifisso i tanti scartati ed esclusi anche da noi, dal nostro modo di vivere e comportarci». Ancora il pensiero torna al Papa e al momento vissuto con i detenuti a San Vittore: «Dopo aver dato la mano a tutti, nella Rotonda del Carcere, ha detto: “Vi domanderete perché sono qui. Sono qui perché ciascuno di voi è, per me, Gesù”. Chi di noi è capace di dirlo se non nelle teorie?».
L’invito è ancora a riflettere sui luoghi significativi attraversati con la Reliquia: «Il Venerdì santo è un fatto di solidarietà. Siamo chiamati a lasciare trasparire sul nostro volto di Chiesa la luce delle genti che è Gesù, come ci ha ricordato il Concilio». È Lui, infatti, «che sulla Croce, alla fine dell’agonia, sfinito da patimenti brutali, pronuncia quella affermazione che cambia la vita dei cristiani da duemila anni: “Madre, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre”», affidando reciprocamente l’un l’altra, Maria e il discepolo amato, Giovanni. «La nuova parentela, da cui anche noi veniamo, è nata sotto la Croce, nuova parentela che dilata quella del sangue e della carne e che ci rende fratelli e sorelle. Questo inizio della comunione cristiana, un fortissimo segno di solidarietà anche per la realtà civile, vale in maniera letterale oggi. Prepararci ala Pasqua significa scoprire queste nuove fraternità e solidarietà. Come ha detto il Papa ai ragazzi a San Siro: “Quando uno è solidale, è gioioso e trasmette la gioia”. Ecco l’importanza di aver valorizzato i luoghi dell’incontro di questa zona, non per un’egemonia, ma per testimoniare che bellezza, verità e bontà sgorgano dalla Santa Croce nella gloria spendente della Risurrezione». L’invito è a «interrogarsi sul pregiudizio che abbiamo su fratelli e sorelle, e a quanto pesi il narcisismo dentro la comunità cristiana; a quanta inutile mormorazione vi sia e al rendersi conto di come ciò blocchi lo sguardo di chi dice di non credere in Gesù. Chiediamoci quanta solidarietà immettiamo nelle nostre comunità civili perché possa crescere vita buona».
«In questa importante fase finale della Visita pastorale, nelle Viae Crucis, nel dono straordinario della presenza a Milano di papa Francesco, ci vogliamo preparare alla Pasqua accostandoci con autenticità al Sacramento della Riconciliazione e lasciando percepire a tutti coloro che ci stanno intorno la forza della Riconciliazione. Abbiamo il volto del Risorto? Si intravede sul nostro volto la pace e la prospettiva della casa delle porte aperte che è la Trinità? Riconosciamo la necessità della penitenza che significa andare al fondo del nostro cuore per ritrovare la bellezza della fede».