In questa terza domenica di Quaresima siamo invitati alla conversione dalle parole dell’Apostolo Paolo sulla “giustizia di Dio”.
Non è difficile comprendere, in senso generale, che convertirsi significa “diventare giusti”. Ma cogliere come praticare la “giustizia di Dio” non è immediato. Certamente Paolo si riferisce alla Legge consegnata al popolo eletto come comunicazione della volontà di Dio.
La giustizia ci è richiesta dalla legge, ma la legge non basta da sola a farla fiorire in noi. La stessa esperienza di Israele, condivisa dai cristiani e da tutti gli uomini, ci dice che non basta conoscere la legge per poterla compiere. Anzi, non di rado la conoscenza della legge ha fatto nascere nel nostro cuore l’illusione di poterci auto-salvare, di farcela con le nostre forze. Come se si trattasse unicamente di sapere che cosa si deve fare e di proporselo finalmente con decisione. Ma è così? «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio»: le parole di Paolo ai Romani non sono un rimprovero, ma una pura constatazione del dato di fatto. E non abbiamo giustificazioni: né l’ignoranza, né la fragilità, né le circostanze… Tutti dobbiamo fare i conti con il mysterium iniquitatis (mistero di iniquità), con l’abisso profondo del nostro peccato.
Tuttavia questa drammatica esperienza, in forza del Crocifisso glorioso, è, paradossalmente, la grande occasione della nostra vita. È il “pertugio” attraverso il quale Dio, ricco in misericordia, ci offre la possibilità di rimetterci in cammino. Diceva il tragico poeta e scrittore Oscar Wilde: «Ah, beati coloro il cui cuore può infrangersi e conquistare la pace del perdono (…). Come, se non per il varco d’un cuore spezzato, Cristo Signore in lui potrebbe entrare?» (Ballata del carcere di Reading).
Il dialogo tra la nostra fragile libertà e la misericordia di Dio, che sta alla radice della conversione e ne è la sorgente, è espresso a tinte forti dall’odierno Vangelo di Giovanni che registra la serrata disputa intorno alla figura di Abramo tra Gesù e i «Giudei che gli avevano creduto».
Gesù li invita ad ascoltare la sua parola, come Abramo ascoltò la parola del Signore che lo chiamava a lasciare la sua terra e a mettersi in cammino. Chiede loro di abbandonare la pretesa di salvarsi con le proprie mani – attraverso la rivendicazione “automatica” della propria discendenza da Abramo – e di aderire a Colui che è la giustizia di Dio perché manifesta la Sua misericordia.
Anche a noi viene proposto lo stesso cammino: ascoltare l’annunzio di grazia che è Gesù in persona e lasciarci condurre da Lui. Per questo, a conclusione della liturgia della Parola, pregheremo così: «Custodisci, o Padre, la tua famiglia con inesauribile amore e, poiché poggia soltanto sulla speranza del tuo aiuto, donale di camminare con gioiosa certezza verso la patria eterna».