«Lasciate che la gioia e la letizia emergano sugli affanni, nelle prove personali e familiari, sulle fatiche sociali, su tutte le situazioni di guerra e di tragico terrorismo, sulla condizione di molti cristiani e uomini di fede».
L’auspicio che si fa fonte di speranza nelle parole del cardinale Scola, raggiunge le migliaia di fedeli che, in Duomo, circondano di devozione, di amore e di fede quello stesso bimbo, nato da donna oltre duemila anni fa, per la salvezza di ogni uomo e donna, in ogni terra e in ogni tempo.
È la Celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo nella Notte di Natale, in cui tutto parla di «questa nascita clamorosa», la luce stessa che inonda la Cattedrale, la Parola di Dio, le Letture, tra le quali la tradizionale, ambrosianissima, “Esposizione del Vangelo secondo Luca” di sant’Ambrogio, proclamata nella Veglia di preghiera che precede l’Eucaristia. Nella cui processione iniziale il Cardinale – accanto a lui concelebrano alcuni suoi stretti collaboratori e i Canonici del Capitolo metropolitano – porta tra le mani la raffigurazione lignea del Dio Bambino che depone nella “culla”, posta ai pedi dell’altare maggiore. È “la luce che splende oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore”, come dice il canto e suggeriscono la Kalenda natalizia e lo splendido brano evangelico. «Contemplando il mistero del Dio bambino, come anche noi stiamo facendo qui numerosi in questa Notte santa, la Chiesa riconosce la verità delle parole del prologo del Vangelo di Giovanni, “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”», riflette, infatti, l’Arcivescovo, che subito aggiunge: «Tutti i pericoli esterni e interni a noi e la ferocia che minacciano i nostri giorni, spesso lasciandoci l’impressione di barcollare nel buio, non possono cancellare il fatto che nella storia degli uomini è entrata la luce vera che illumina ogni uomo».
Dunque, il Natale come «festa della luce» secondo un’immagine «potente e attuale», che, specie oggi, non può che essere indicazione di senso e direzione del cammino, di fronte al buio di tante guerre e tragedie.
«La luce che è entrata nel mondo, e che continua a farlo per illuminare ciascuno di noi, non è una semplice idea, né solo un principio di rinnovata morale; è un bimbo, questo bimbo Gesù, uno come noi, nato da donna, nato sotto la Legge, cioè è un uomo a tutti gli effetti. Il Natale festa della luce diventa così festa di ogni uomo e di tutta l’umanità». Il pensiero è al genio di san Francesco capace di «inventare, a Greggio, il presepio» e alla definizione di papa Francesco di quello stesso bambino quale «volto della misericordia del Padre». Una misericordia che sempre ci accompagna anche nei momenti più difficili, quando la luce sembra spegnersi.
«La potenza di questa luce non si mostra nell’eliminazione del dramma dell’esistenza – la nostra liberta non esisterebbe se cosi fosse, sottolinea Scola –, ma nella sua capacità di far vivere tale dramma fino in fondo, senza mai fermarsi, senza mai ritirarsi, senza mai cedere. Non perché vengano meno i momenti di stanchezza, la mancanza di forze, la delusione o addirittura lo scetticismo che si affacciano nella nostra vita e nel nostro cuore. La luce vera non toglie il gioco della liberta con i suoi “alti” e “bassi”, ma ci fa comprendere che è sempre possibile la ripresa in forza di Gesù». Colui che ci precede, ci accompagna, il Figlio eterno di Dio, per usare ancora un’espressione di sant’Ambrogio.
Da qui la certezza, con uno sguardo rivolto anche alla metropoli: «Nessuno di noi è solo. Pensiamo ai quasi cinquemila che non hanno posto per dormire a Milano e non l’avranno nemmeno, forse, questa notte: neppure loro sono soli, perché mille nostre mani si tendono verso queste persone e, anche se siamo inadeguati a rispondere al bisogno, tuttavia ci sentiamo mossi. Il Signore bambino ci accompagna, ci sorregge, ma soprattutto – chi non lo ha provato? – ci rialza permanentemente, come fa in questa Notte santa. Per questo siamo venuti in Duomo accettando anche il sacrificio della paura e dei necessari controlli; per questo oggi celebriamo il Natale del Salvatore che è il natale della nostra salvezza, il compimento del nostro andare contro la morte, del durare per sempre». E questo appunto perché «in quella notte a Betlemme si è aperta la strada che ci permette di camminare nella luce vera». Dono gratuito di redenzione, al quale dobbiamo rispondere con un “sì” più che mai necessario oggi, spendendo la nostra esistenza amando Dio, i nostri fratelli e il Creato.
«Pratichiamo, allora, condivisione, ospitalità, giustizia e pace, partendo dagli ultimi e abbracciando tutti, chiedendo perdono», indica il Cardinale che richiama con gratitudine come «anche nella nostra Chiesa, in questo nostro tempo tribolato, viva una condivisone tenera e amorosa in molte sorelle e fratelli».
Infine, l’invocazione del monaco irlandese del sesto secolo, San Brandano – “O Signore Gesù Cristo, per il mistero della tua natività, abbi pietà di me”– : «una domanda semplice che scaturisce dal riconoscerci fragili ed esposti al peccato, ma che si rivolge a Qualcuno che ha il potere di risollevarci sempre». La frase e gli auguri ripetuti in diverse lingue, perché nessuno possa mai sentirsi escluso, sono il simbolo di quel rivolgere il cuore a un bambino «che ha assunto le fattezze della tenerezza del neonato», e che, proprio per questo, ci permette «di guardare con realismo fino in fondo chi siamo».
«La sua compagnia, ci accompagni e la speranza sarà così la caratteristica distintiva dell’esistenza, qualunque sia la nostra condizione e dovunque possiamo situarci».