Un popolo fatto di donne, bambini, uomini, anziani, gente di diverse etnie, cammina con le palme e gli ulivi tra le mani. Duemila anni, a compiere la salita a Gerusalemme del Popolo eletto, nella domenica che precedeva la Pasqua, c’era anche Gesù. Oggi nelle vie inondate di sole che portano alla Cattedrale della Milano del terzo millennio, c’è ancora Lui con le migliaia di fedeli che compiono lo stesso pellegrinaggio ideale – «gesto antico che affonda le proprie radici nella Chiesa primitiva di Gerusalemme», – volendo accompagnare l’Innocente «che sta inoltrandosi verso la tappa finale del suo pellegrinaggio sulla terra».
È la domenica delle Palme e, dopo aver benedetto gli ulivi e le palme davanti alla chiesa di Santa Maria in Camposanto, il cardinale Scola muove in processione verso il Duomo con il Canonici del Capitolo Metropolitano, i rappresentanti degli antichi Ordini cavallereschi e delle Confraternite e seguìto dalla gente, moltissima, con tanti bambini e intere famiglie. Tra loro i cento volontari che operano per sostenere il “Fondo Famiglia Lavoro”, i settecento ragazzi, con i loro genitori, delle scuole paritarie “La Zolla” di Milano, gli oltre cento studenti del “Collegio San Carlo”. Insomma, tutti quelli che la Cattedrale sembra non riuscire a contenere e che continuano ad affollarsi tra le navate mentre il Canto dei Dodici Kyrie sottolinea la Solennità della Celebrazione che è il portale – così lo definisce l’Arcivescovo – che introduce alla Settimana Santa. Settimana che, non a caso, il Rito ambrosiano, chiama «autentica», per la sua esemplarità.
Settimana nella quale «pellegrini andiamo verso di Lui, come pellegrino Egli ci viene incontro e ci coinvolge nella sua “ascesa” verso la Croce e la Risurrezione, verso la Gerusalemme definitiva, per usare le magnifiche parole di Benedetto XVI.
Una “definitività” che – nota Scola – inizia già qui e ora al di là delle nostre fragilità umane, del nostro essere volubili e non affidabili, come ben dimostra la folla che, prima acclama Gesù re d’Israele, agitando le palme e solo pochi giorni dopo, nel Venerdì Santo, grida “Sia crocifisso”.
Da qui la riflessione: «L’uomo è spesso inaffidabile. Quante volte la cronaca ce ne dà prova. Ogni umana acclamazione è volubile. Lo siamo anche noi. E così siamo tentati di lasciarci andare allo scoramento, di “gettare la spugna”, di non impegnarci nella nostra fede e nella vita bella che ne consegue. Eppure questa tentazione assai diffusa, che spesso lascia non poco amaro nel nostro cuore, rendendo opaca la consapevolezza di noi stessi, che affatica il nostro rapporto con Dio e con gli altri, non è l’ultima parola». Appunto perché la parola “ultima” la dice solo il Signore. «Il Padre, nel Figlio Crocifisso e risorto per noi, ci ridona sempre una speranza affidabile. Come sta facendo ora, in questo gesto eucaristico, fa sperare al dì la della nostra affidabilità, ci dona la forza di riportare vittoria sul Maligno che ci opprime. Cosa di cui talora facciamo poco conto».
Tutto questo converge nella Settimana autentica, che facilita, seguendo «tappa per tappa, specie nel Triduo, la vita di Cristo», la nostra immedesimazione, essendo il paradigma, il modello pieno della nostra stessa vita. «Qui dobbiamo radicarci se vogliamo mantenere la pace nel cuore, la tensione alla felicità che è propria di ogni uomo e specie del cristiano sicuro della sua mèta», scandisce il Cardinale.
E se l’etimologia stessa della parola greca “autentico”, indica autorevolezza ben si comprende perché siano detti così i giorni che ci attendono. «Celebrare i giorni della Passione, morte e Risurrezione di Gesù significa riconoscere che il criterio della nostra vita è quest’Uomo concreto, il Crocifisso Risorto, che abita sacramentalmente con noi e ci viene quotidianamente incontro. È questo il senso di tutta la nostra esistenza».
Nella Pasqua del Signore che si spalanca nella Settimana Autentica, sta, infatti, la radice di quell’opera di riconciliazione e di pacificazione accennata dalla profezia di Zaccaria nella Prima Lettura, proclamata nella Liturgia della Parola delle “Palme” .
Immediato – e non potrebbe essere altrimenti – il pensiero dell’Arcivescovo va all’attualità: «La pace è il test di credibilità di ogni autentica comunicazione di Cristo. Eppure, mai come oggi il nostro pianeta è attraversato da guerre, dal terrorismo, dall’uccisone di tanti uomini delle religioni e cercatori di giustizia. Dove è la pace come frutto della morte e Risurrezione di Gesù? La pace è il frutto dell’abbassamento di Gesù sulla croce che trapassa in Risurrezione. Cerchiamo di concentrarci sulla vicenda di Cristo che ha segnato la storia di Occidente, oggi striata del sangue dei martiri».
Se, come dice papa Francesco – citato in ultimo dal Cardinale –, “non è possibile replicare alla generosità di Cristo con un ‘grazie tante’, ma bisogna dare la vita”, a noi resta almeno un compito: «guardare ogni giorno alla Croce con il Crocifisso cercando di fare spazio allo sguardo con cui il Signore guarda ciascuno di noi»