IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO ALLA CITTÀ
«Mi sembra decisiva la prospettiva con cui si sceglie di guardare all’odierna situazione. Parlare di crisi economico-finanziaria per descrivere l’attuale frangente di inizio del Terzo millennio non è sufficiente. A mio giudizio la crisi del momento presente chiede di essere letta e interpretata in termini di travaglio e di transizione». È questa l’idea-guida del primo Discorso alla Città del cardinale Angelo Scola pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio, davanti alle autorità civili e militari di Milano, delle città e paesi della Diocesi.
Una riflessione tanto attesa, che non manca di fornire molti spunti e sollecitazioni su una questione che riguarda tutti gli italiani. «Anche noi, cittadini immersi nella crisi economico-finanziaria, siamo chiamati a metterci in gioco, impegnando tutta la nostra energia personale e comunitaria. Il domani avrà un volto nuovo se rifletterà la nostra speranza di oggi. Una “speranza affidabile” deve quindi guidare le nostre decisioni e la nostra operosità», sottolinea il Cardinale.
«Dalla crisi si esce solo insieme»
In giorni così drammatici di fronte al futuro comune del Paese e dell’intera Europa, l’Arcivescovo di Milano sollecita a non disperare e a stare uniti: «Dalla crisi si esce solo insieme, ristabilendo la fiducia vicendevole. E questo perché un approccio individualistico non rende ragione dell’esperienza umana nella sua totalità. Ogni uomo, infatti, è sempre un “io-in-relazione”. Da qui è bene ripartire per ricostruire un’idea di famiglia, di vicinato, di città, di paese, di Europa, di umanità intera, che riconosca questo dato di esperienza, comune – nella sua sostanziale semplicità – a tutti gli uomini».
Dunque, per Scola non si tratta solo di una crisi che riguarda economia e finanza, ma bisogna andare oltre. «Per affrontare la crisi economico-finanziaria occorre anche un serio ripensamento della ragione, sia economica che politica, come ripetutamente ci invita a fare il Papa. È davvero urgente liberare la ragione economico-finanziaria dalla gabbia di una razionalità tecnocratica e individualistica di cui, con la crisi, abbiamo potuto toccare con mano i limiti».
«La politica ha bisogno di una rinnovata responsabilità creativa»
Ma innanzitutto bisogna ripartire da una sana concezione della politica, centrale nella gestione della città dell’uomo. «È altrettanto urgente liberare la ragione politica dalle secche di una realpolitik incapace di capire il cambiamento e coglierne le sfide. La politica, nell’attuale impasse nazionale e nel monco progetto europeo, ha bisogno di una rinnovata responsabilità creativa perché la società non può fare a meno del suo compito di impostazione e di guida».
Ma la politica non va lasciata sola, non basta la logica della delega. Ogni cittadino deve fare la sua parte, anche nei sacrifici che il momento drammatico richiede. Dice Scola: «A questa assunzione di responsabilità da parte della politica deve corrispondere l’accettazione, da parte di tutti i cittadini, dei sacrifici che l’odierna situazione impone. Per sollevare la nazione è necessario il contributo di tutti, come succede in una famiglia: soprattutto in tempi di grave emergenza ogni membro è chiamato, secondo le sue possibilità, a dare di più. Chi ha il compito istituzionale di imporre sacrifici dovrà però farlo con criteri obiettivi di giustizia ed equità inserendoli in una prospettiva di sviluppo integrale (Caritas in veritate) che non si misura solo con la pur indicativa crescita del Pil».
Poi l’Arcivescovo propone tre indicazioni di carattere culturale. Innanzitutto su ricchezza e felicità, il Cardinale critica la diffusione di una concezione che ritiene non accettabile: «Ilcittadino è (pessimisticamente) ridotto all’homo oeconomicus, preoccupato esclusivamente di massimizzare il profitto. Alla base dell’attività economica e finanziaria sembra infatti esservi solo l’assunto secondo cui l’aumento della ricchezza è in ogni caso e, meglio, quanto prima,un bene da perseguire».
Secolarizzazione e mondo cattolico
Poi il Cardinale passa a giocare “in casa”, sulla secolarizzazione e il mondo cattolico: «Merita di essere denunciato l’indebolimento di quelle “voci” che porterebbero a questo auspicato allargamento della ragione. Responsabile, in parte, di questo indebolimento è il variegato processo di secolarizzazione, che ha di fatto favorito l’affermarsi della mentalità positivistica denunciata da Benedetto XVI».
Secondo Scola, «il principio dell’autonomia delle realtà terrene – se rettamente inteso – porta di conseguenza all’appropriato riconoscimento dell’autonomia dei fedeli laici nel campo “loro proprio” (cfr Apostolicam actuositatem, 7). Talvolta, però, il riferimento al principio dell’autonomia in questo ambito si è trasformato in una perniciosa rinuncia a far emergere la valenza antropologica ed etica necessaria per affrontare i contenuti concreti dell’azione sociale, politica ed economica. In tal modo, però, “autonomo” è diventato di fatto sinonimo di “indifferente” rispetto a tali sostanziali valenze».
Una riflessione critica anche sul fatto che «la stessa dottrina sociale della Chiesa ha rischiato, in questo quadro, di essere considerata più come una premessa di pie intenzioni che come un quadro organico e incisivo di riferimento. Insomma, c’è da chiedersi se il mondo cattolico, per sua natura chiamato a essere attento alle grandi sfide antropologiche ed etiche in gioco, non sia stato, da parte sua, corresponsabile, almeno per ingenuità o ritardo o scarsa attenzione, dell’attuale stato di cose. Gli autorevoli inviti ai fedeli laici a un più deciso impegno politico diretto domandano l’assunzione integrale della dottrina sociale della Chiesa basata su princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azionee non alchimie partitiche».
Un’irresponsabilità diffusa
La terza considerazione è sulla realtà «peggio della cicala»: «Neppure la combinazione di congiunture tanto sfavorevoli avrebbe condotto all’odierna crisi economico-finanziaria se essa non avesse potuto attecchire sul terreno di un’irresponsabilità diffusa: quella che spinge a spendere sistematicamente per i propri consumi ciò che non si è ancora guadagnato – sottolinea il Cardinale -. Un comportamento che fino a poco tempo fa sarebbe sembrato così folle da oltrepassare perfino il livello della qualifica morale (di fronte alla saggia formica, l’immorale cicala in fondo consumava soltanto ciò che aveva), ora è percepito sempre più come normale ed è sistematicamente provocato (fino a giungere alla pubblicità che senza vergogna incoraggia ad indebitarsi per fare una seconda vacanza)». Per Scola «tutto questo impone un radicale mutamento degli stili di vita».
Per questo il Cardinale individua alcune piste di impegno. A partire dal pilastro del lavoro: «I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, dell’impresa e della finanza esigono un ripensamento del significato del lavoro stesso e dello sviluppo e un’attenzione reale ai loro protagonisti. Il lavoro remunerato, e il tanto non remunerato, deve essere difeso con opportune politiche che favoriscano la libera intrapresa».
«Rivalutazione della responsabilità personale dei lavoratori e degli imprenditori»
Scola indica anche un percorso concreto: «Occorre che obiettivo primario di queste politiche sia la rivalutazione della responsabilità personale tanto dei lavoratori quanto degli imprenditori, la creazione di nuovi servizi che favoriscano la crescita professionale e affianchino a percorsi di riqualificazione e formazione un sostegno economico e, infine, la valorizzazione e la creazione di spazi di partecipazione. Perché non riprendere in seria considerazione la proposta che tutti i lavoratori abbiano parte agli utili di impresa?».
Non poteva mancare l’altro pilastro centrale, la famiglia, che «ha sostenuto i costi prevalenti del ricambio generazionale: occorre domandarsi fino a quando potrà continuare a farlo e agire, di conseguenza, in favore della famiglia e della crescita demografica attraverso decise e adeguate politiche specifiche».
«Un’attenzione del tutto particolare va riservata alle giovani generazioni»
In particolare, l’Arcivescovo guarda ai giovani, così penalizzati dalla precarietà: «Un’attenzione del tutto particolare va riservata alle giovani generazioni, le più colpite dall’odierna situazione economica. Nelle diverse occasioni di incontro che sempre ho avuto lungo il mio ministero con i giovani, ho toccato con mano la loro ricerca di senso e il loro desiderio di partecipazione alla vita comune, insieme a un’inevitabile e, per certi versi, comprensibile incertezza. In questa prospettiva integrale è un’urgenza primaria favorire la formazione e il lavoro delle nuove generazioni, anche attraverso un’innovativa concezione delle istituzioni scolastiche e universitarie, in modo che si promuova con realismo la possibilità di edificare nuovi nuclei familiari. Il compito delle parrocchie, degli oratori e delle aggregazioni di fedeli assume in proposito sempre maggior rilevanza».
«Le gravi forme di emarginazione presenti nel nostro territorio»
L’attenzione di tutti deve essere rivolta in particolare alle fasce più deboli della società: «Per quanto riguarda l’impoverimento dei nuclei già in condizione di difficoltà, la capitale economica del Paese non è certo al riparo dai fenomeni di povertà e di esclusione sociale, talvolta estrema. Di fronte poi alle gravi forme di emarginazione presenti nel nostro territorio – penso al numero sempre crescente di coloro che vivono per strada, oppure alle pesanti condizioni in cui versa la popolazione rom o quella delle carceri – non possiamo disattendere l’appello che ci viene dai diversi enti di solidarietà, con la loro folla di volontari: sono in continuo aumento le realtà di volontariato che non riescono a gestire l’incremento delle domande di assistenza».
Immigrati: magnanimità ed equilibrio non si escludono a vicenda
Per quanto riguarda il fenomeno migratorio, «si potrebbe perseguire l’idea di un’immigrazione sostenibile, cercando di definire quantità e caratteristiche dei flussi in grado di ricevere dignitosa accoglienza e adeguata integrazione nella nostra città; dall’altro ci si dovrebbe orientare verso una ben più decisa valorizzazione delle capacità e del desiderio “di fare” che la grande maggioranza degli immigrati esprime quotidianamente, anche se talvolta disordinatamente per carenza di mezzi e di opportunità. Magnanimità ed equilibrio non si escludono a vicenda, come insegna la grande tradizione di ospitalità che ha sempre fatto onore alla nostra Milano».
La pluriformità nell’unità
In conclusione, il Cardinale rivolge un invito a tutti: «La dimensione globale della crisi può favorire la logica della pluriformità nell’unità che ben si addice sia alla vita della Chiesa sia a quella della società civile. La sinfonia delle diversità deve trovare nella partecipazione alla comune esperienza umana quella strada per la riscoperta dell’unità della famiglia dei popoli da cui soltanto può venire “un nuovo ordine economico-produttivo, socialmente responsabile e a misura d’uomo”».
«Dare continuità al Fondo Famiglia-Lavoro»
E una notizia che riguarda l’impegno concreto della Diocesi: «Sono lieto di comunicare che la Chiesa milanese sta elaborando le nuove linee per dare continuità e sviluppo all’importante progetto del Fondo famiglia-lavoro, tenacemente perseguito dal mio predecessore il cardinale Dionigi Tettamanzi (e qui Scola ha ringraziato il Comune di Milano per l’onorificenza civica assegnata all’Arcivescovo emerito, ndr). Esse saranno approntate per l’inizio del nuovo anno».