«Il nostro ministero è un dono del Signore e come ogni dono va quotidianamente invocato e custodito. Non ci sarà riforma se non a partire dal riconoscimento della precedenza del dono di Cristo attraverso la Chiesa… Il dono che il Signore ci fa è tessuto dal popolo di Dio… Il popolo cristiano non è semplicemente il destinatario del nostro ministero, ma ne è la ragion d’essere e ci indica la modalità storica in cui tale ministero chiede di essere esercitato»: sono alcuni passaggi dell’omelia – tradizionalmente dedicata al tema del sacerdozio (in allegato il testo e il video integrale) – che l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha pronunciato questa mattina nel corso della Messa crismale presieduta e concelebrata con il clero ambrosiano in Duomo. Si tratta dell’unica Messa in programma in tutta la Diocesi nella mattinata del Giovedì santo: vengono benedetti gli Oli e viene consacrato il Crisma, destinati alle parrocchie per essere utilizzati nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Unzione degli infermi. Le offerte raccolte durante la celebrazione vengono destinate a favore della Fondazione Opera Aiuto Fraterno.
Dopo aver richiamato il significato dell’Unzione con gli oli e le parole di Gesù nella Sinagoga di Nazaret riportate dal Vangelo, rifacendosi alle recenti Assemblee zonali col presbiterio diocesano e soprattutto alle parole pronunciate da papa Francesco durante la visita a Milano del 25 marzo («dono straordinario»), l’Arcivescovo si è concentrato sul valore del sacerdozio, soffermandosi in particolare sul dialogo che papa Francesco ha intessuto con preti, religiosi e consacrati in Cattedrale. Un dialogo «molto ricco di suggerimenti… che dovranno essere oggetto di lavoro personale e comunitario da parte nostra e accompagnare il cammino della nostra Chiesa». Scola ne ha evidenziati tre.
Il primo: «Per quanto travagliata possa essere la situazione socio-culturale in cui la Provvidenza ci ha chiamato a vivere il Vangelo e ad annunciarlo, il dono della fede e della comunione ecclesiale continua a costituire la principale nostra risorsa… Uomini e donne devono poter scoprire, incontrando il sacerdote immerso nel tessuto quotidiano delle nostre comunità e aggregazioni, il bene della cultura dell’incontro, anche in questa fase segnata da tremende violenze e paure».
Il secondo: «Francesco ha insistito sul servizio come “uno dei doni caratteristici del popolo di Dio”… Siamo, l’ho ripetuto varie volte, “presi a servizio”… Ricordiamoci, però, che non c’è servizio possibile senza obbedienza».
Il terzo, «diretto alle consacrate e ai consacrati, ma pure valido, con le debite distinzioni, per tutti gli stati di vita… La vita consacrata è la forma stabile, riconosciuta dalla Chiesa, di una consacrazione a titolo speciale che, attraverso la professione dei consigli evangelici, si fa confessio Trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis in favore di tutto il popolo di Dio… La Chiesa non può prescindere da questa testimonianza profetica. Essa è punto di riferimento del celibato sacerdotale».
L’Arcivescovo ha concluso con un invito esplicito: «Nonostante i nostri limiti e le nostre debolezze non risparmiamoci: le donne e gli uomini di oggi ci attendono».
Una preghiera per il Congo
«Ti chiederei una preghiera di tutta la nostra comunità diocesana soprattutto durante i giorni santi della Pasqua»: si chiude così la lettera che don Maurizio Canclini, sacerdote ambrosiano fidei donum a Kinshasa (Congo), ha inviato nei giorni scorsi al Vicario generale monsignor Mario Delpini e che il cardinale Scola ha citato nella sua omelia.
«Dopo la rottura del dialogo faticosamente costruito dai vescovi tra il presidente e l’opposizione siamo ritornati al caos di qualche mese fa», scrive don Maurizio, sottolineando che Kinshasa e il Paese vivono «giorni carichi di tensione e anche di paura»: le opposizioni hanno già annunciato manifestazioni di protesta, che «purtroppo spesso degenerano in scontri molto duri».
La situazione è ancora più drammatica nel Kasai (dove ha sede un ospedale del Coe), a Kananga e in altri centri minori. Don Maurizio parla di «una violenza inaudita» e di «tantissimi morti» (tra cui molti giovani) e denuncia il «silenzio indifferente del mondo»: «Si parla un po’ del Congo quando il Papa ci ricorda nelle sue preghiere – scrive infatti -, altrimenti c’è un silenzio voluto su questa terra massacrata». E conclude: «Ricordaci nelle tue preghiere, se possibile, assieme a tutti i Paesi che soffrono per le guerre e per tutte le ingiustizie che li schiacciano».