Il delicato sussurro di Gesù che, con rispetto per la libertà di ciascuno, chiede agli uomini e alle donne di tutti i tempi, “Dammi il cuore” da quella Croce di duemila anni fa che è immagine e immedesimazione con ogni tragedia di oggi.
L’ultima delle 7 Viae Crucis 2017, “Si è addossato i nostri dolori”, guida i passi di 6000 pellegrini della Zona Pastorale II che, con il cardinale Scola, seguono la Croce di san Carlo e la venerata reliquia del Santo Chiodo per le vie di Varese.
Mentre la gente affolla l’intero ampio sagrato e le strade di accesso, dalla basilica prepositurale di San Vittore Martire – al cui interno sono riuniti moltissimi sacerdoti, religiosi e tutti seminaristi di Vengono –, muove la Processione. A portare per primo la Croce carolina (poi lo faranno alcuni Decani) è il vicario episcopale di Zona, monsignor Franco Agnesi; altri 2 i vescovi presenti, monsignor Marco Ferrari e monsignor Luigi Stucchi.
Gli abitanti che si affacciano dai balconi, spesso adornati di lumini e fiammelle, le persone che, ai bordi delle strade, si inginocchiano, i tanti giovani che prendono parte alla Via Crucis, nella cui preparazione sono stati coinvolti la Basilica e il Decanato di Varese, ma anche gruppi, associazioni, movimenti, danno l’idea di un vero cammino di popolo. Quello che compiono anche le autorità militari e civili, con il Sindaco, il Prefetto, il neo Questore di Varese e il presidente del Consiglio Regionale lombardo. .
Si passa attraverso alcuni luoghi emblematici, mentre le voci guida (tra cui l’attrice Luisa Oneto che già aveva, negli anni scorsi, letto brani delle Catechesi quaresimali nel Duomo di Milano) propongono i passi evangelici e le testimonianze.
Alla fine – la Croce per l’ultimo tratto è portata dal prevosto di Varese, monsignor Luigi Panighetti – si arriva presso la grande chiesa della Brunella che sorge significativamente vicino al carcere varesino “Dei Miogni”e alla Mensa dei poveri.
Dal sussurro di Gesù, appunto “Dammi il cuore”, prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo, mentre i fedeli ai piedi della grande scalinata della chiesa ascoltano in un silenzio che pare irreale, visto che in piazza sono migliaia.
«Solidali con il dolore di tutti, cambiando qui e ora il nostro cuore»
A tutti il Cardinale rivolge l’interrogativo degli interrogativi per ogni cristiano «Quale coscienza c’è in noi della distanza, nel quotidiano, da questo Crocifisso glorioso che è e resta la grande speranza per il nostro tempo, per il futuro? Il peccato più grave che produce il sonno, che ci fa svanire, non è forse l’oblìo, la dimenticanza quotidiana di Gesù?».
«Per questo guardiamo al Santo chiodo, sapendo che questo non ci fa bene e potendo immaginare cosa sia stato per Cristo fare l’esperienza di portare su di sé il nostro peccato».
Ma come uscire, allora, da un tale “sonno” che è, insieme, della fede e della ragione? Chiara la risposta di Scola: «Questo chiodo simbolicamente trafigga il nostro cuore, così che lui possa passare, perché – come ha scritto il geniale e sregolato scrittore inglese, Oscar Wilde, che alla fine si convertì –, “Da dove potrà mai entrare Gesù, se non da un cuore ferito e spezzato?”».
È questo il gesto fondamentale da compiere o a cui ritornare con rinnovata forza e slancio, quello «senza il quale non possiamo neanche capire la profondità della identificazione del Crocifisso con ogni crocifisso di oggi, con ogni umana tragedia, con ogni violenza come quella che ancora in queste ore si è perpetrata a Stoccolma».
Insomma, bisogna cambiare a livello personale comunitario, «e, allora, potremo dire, con parole che hanno fatto piangere la maggioranza dei presenti, come ha detto papa Francesco nella Rotonda del carcere di San Vittore in cui erano riuniti molti detenuti tra cui tanti giovani: “Vi domanderete perché io sono qui, perché voi, per me, siete Gesù, il cuore di Gesù ferito».
«Altrimenti il rischio è di emozionarci di fronte a ogni dolore, tragedia, esclusione, ineguaglianza, a ogni scarto e miseria, solo per una manciata di minuti e anche la nostra condivisione, così preziosa ecclesialmente e civilmente, può spuntarsi come una lama tropo usata».
Da qui la speranza e l’auspicio del Pastore: «Vogliamo prenderci cura, essere solidali con chiunque soffra, ma questo domanda di cambiare qui e ora, di ascoltare il sussurro di Cristo, virando nel cammino dell’esistenza, in tutto ciò che sentiamo chiaramente che non va perché crea estraneità e distanza tra il Crocifisso e la nostra libertà».
«Solidali con il dolore di tutti ma a condizione di lasciarci cambiare dalle sofferenze e dal dolore di Gesù che porta su di sé il mondo intero. Il cammino che abbiamo fatto genera quella solidarietà che fa la gioia della Comunità cristiana e costruisce vita buona nella società civile, in questa Varese così decisiva per la vita della Chiesa e della Lombardia. Vogliamo essere proposta umile, ma convinta, essere un fattore di civiltà, un segno di speranza in questo tempo confuso e pieno di fascino, segnato dal dolore della tragedia».
Il pensiero torna ai drammi che conquistano le prime pagine dei giornali, e a quelli dimenticati, come in Congo da cui un missionario ha scritto all’Arcivescovo circa la terribile situazione in cui versa il Paese per lo scontro in atto. «Come non essere solidali con coloro che, in Europa, hanno perso la vita per il terrorismo, ma anche con chi vive in Paesi dove i cristiani, gli uomini delle religioni e di buona volontà sono martirizzati?.
Chi sa del Congo, chi ne parla mai?. Raccogliamo l’abbraccio di Gesù disponendo il nostro cuore ad ascoltate il suo sussurro: che delicatezza, che rispetto della nostra libertà, che perdono di fronte al nostro errore. Che la Vergine Maria ci accompagni più convinti alla Croce gloriosa di Gesù».