Il nuovo inizio che è sempre possibile e tutto il “nuovo” di cui abbiamo bisogno come persone, mondo, cittadini, uomini e donne di pace.
Mai, forse, come nell’ultimo giorno dell’anno, le parole del cardinale Scola paiono andare direttamente al cuore dei moltissimi fedeli – tra loro anche il prefetto di Milano, Alessandro Marangoni – che gremiscono la parrocchia di San Fedele, alle immediate spalle di una piazza del Duomo già strapiena e blindata. L’Arcivescovo presiede l’Eucaristia cui segue il Canto di ringraziando del Te Deum, quest’anno Celebrazione vigilare che si apre con l’Annuncio della Risurrezione secondo Giovanni. Ma la tradizione è antica, pluricentenaria, risalente ai tempi del Borromeo che, con buona probabilità, la iniziò per ringraziare della liberazione di Milano dalla peste.
«Pochi anni prima San Carlo aveva affidato la chiesa alla Compagnia di Gesù. Questa veneranda tradizione è ripresa sicuramente con il ritorno dei Gesuiti dopo la guerra». Da qui il saluto dell’Arcivescovo ai Padri della Comunità gesuita, molti dei quali concelebranti, con il loro nuovo Superiore, padre Maurizio Teani.
«È significativo che questa Celebrazione avvenga dopo il canto del Te Deum con gli anziani al Pio Albergo Trivulzio, perché a quella età – come sempre nella vita – il desiderio di vedere il volto di Dio segna la maturità del cristiano».
Il richiamo, attraverso le Letture, è alla gratitudine nostra per potere, appunto, vedere il Suo volto e a quella del Gesù stesso. «Il nostro Te Deum si inserisce in questo sentimento che ben descrive il rapporto di Gesù con il Padre. È dalla gratitudine che sgorga, in noi, la virtù della speranza, virtù bambina ma tenace, caparbia nel portarci verso il compimento».
Molti i motivi per rendere grazie, suggerisce Scola, in questo anno pure segnato da tanto dolore e morte, come «l’impressionante numero di persone passate dalle Porte della misericordia, che dice molto dell’urgenza di cambiamento del nostro popolo ambrosiano – più di 1 milione di persone, si stima -, i segnali di ‘rinascimento’ della nostra città; la carità che si moltiplica come risposta a povertà ed esclusioni che pure si moltiplicano anche esse». Persino «i fatti molto dolorosi o negativi possono essere un invito alla conversione e al cambiamento, che è sempre un nuovo inizio. La Sua nascita, infatti, rende sempre, in ogni situazione, possibile la nostra ri-nascita», nota il Cardinale.
D’altra parte, il Mistero stesso del Natale è intrecciato, fin dall’inizio, a quello della Pasqua e «il doppio movimento della discesa e dell’ascensione gloriosa del Figlio di Dio, fa brillare ai nostri occhi la “strana necessità” del sacrificio come legge fondamentale dell’amore».
Insegnamento, questo, molto realistico che chiede «all’uomo di restare immerso in tutta la realtà ecclesiale e sociale sempre fatta di gioie e di dolori e che, in un certo senso, ci aiuta a camminare verso il compimento e la gloria».
Dall’esempio dello stile di vita di Maria, al suo stupore per il Bambino venuto a salvare tutti e al custodire tutto questo nel cuore – dovremmo tornare a ciò anche dentro la nostra vita, nelle nostre chiese, famiglie, comunità cristiane e nella società plurale -, l’invito è a essere e a farsi portatori di pace e di vera umanità, nella nuova parentela inaugurata da Cristo proprio sotto la Croce.
Benedizione e pace è, infatti, ciò che da quel legno ignominioso fiorisce per l’umanità tutta.
«Bisogna rimanere nella luce della Sua presenza, non sottrarsi al Suo sguardo nel quotidiano, che non significa disattendere il compito che si sta svolgendo, ma stare nell’orizzonte dell’amore affrontando la realtà con i sentimenti di Cristo. Un nome della Sua salvezza tra gli uomini è pace. La pace, lo sappiamo bene, è ad un tempo dono e compito».
Cita, l’Arcivescovo, papa Francesco, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace celebrata il 1 gennaio, laddove il Santo Padre indica nella non violenza attiva il criterio per promuovere la pace.
«È un richiamo molto energico che tiene conto della situazione assai delicata piena di guerra, di terrorismo, di esclusione, di mancanza di lavoro per i giovani. Abbiamo bisogno di un nuovo ordine mondiale, di una nuova Europa, che la politica ritorni a “un essere presi a servizio”, non solo a parole, ma nei fatti. E questo senza sottovalutare il grande impegno di sacrificio che l’arte della politica richiede».
«Il Natale faccia fiorire la pace. Viviamo così il nuovo inizio, con la forza di una ripresa a cui ogni uomo anela e che questo giorno indica».
Il Te Deum al Pio Albergo Trivulzio
«Siete costruttori di civiltà e un dono per tutti».
Il cardinale Scola, come tradizione, visita il Pio Albergo Trivulzio e dice così a tutti coloro che si raccolgono con lui per il Te Deum dell’ultimo giorno dell’anno, cantato nella chiesa settecentesca interna alla struttura in cui i ponteggi dei restauri paiono quasi una moderna architettura in quella antica. Ci sono i degenti, i medici, gli indispensabili volontari, i parenti; accolgono l’Arcivescovo il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, Maurizio Carrara, presidente dell’Azienda di Servizi alla Persona Istituti Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio (ASP IMMeS e PAT), che oggi rappresenta il più importante polo geriatrico nazionale è uno dei più grandi d’Europa, e il direttore generale Claudio Sileo. Concelebrano il Rito, il cappellano rettore, don Carlo Stucchi, il responsabile del Servizio Diocesano per la Pastorale della Salute, don Paolo Fontana, il Decano del Decanato “Vercellina”, don Serafino Marazzini e il don Sante Torretta, il parroco di San Pietro in Sala nel cui territorio si trova il Trivulzio.
«Grazie per questa presenza che ci dedica, ringraziamo il Signore che ci offre tante risorse per affrontare il quotidiano, ma sappiamo che la vita ha i suoi costi e non ci si abitua mai a stare dentro i ritmi delle stagioni dell’esistenza. In quest’anno del Giubileo, siamo stati testimoni della gioia intensa riflessa nei volti dei malati: fare esperienza di misericordia dona gioia, non lasciamocela portare via dalla afflizione e facciamo che sia radicata nei nostri cuori. I prossimi mesi ci vedranno impegnati a vivere l’evento della Visita pastorale al Decanato di cui siamo fieri di fare parte e quella Papa il 25 marzo: Con la sua presenza oggi ci anticipa tale visita», dice, nel saluto di benvenuto, don Stucchi.
«Sono contento di essere qui con voi a dare lode al Signore, per l’anno che si chiude e aprendoci alla sua iniziativa per quello che comincia», nota, a sua volta l’Arcivescovo, sottolineando il valore di un «gesto caro a tutti i milanesi», compiuto in un luogo di grande e gloriosa tradizione ambrosiana. «Anzitutto voglio dare un abbraccio a tutti i degenti e assicurare loro il bene mio personale e di tutta la realtà ecclesiale e civile di Milano», aggiunge Scola che non si nasconde i problemi avuti in passato: «Dopo qualche anno un poco faticoso, l’Istituzione sembra entrata in una condizione di tranquillità che può favorire crescita, sviluppo e superamento di problematiche che sempre riguardano la vita umana».
Il riferimento non può che andare alla situazione attuale: «Pensiamo ai cristiani, agli uomini delle religioni perseguitati e, qualche volta, martirizzati, alle guerre – speriamo che questo inizio di tregua in Siria possa essere realmente consolidato e ridare a quelle popolazioni un respiro di vita – al terrorismo che ha, per ben per 11 volte, toccato direttamente la nostra Europa, mentre ci credevano al sicuro, molto quieti e tranquilli nella nostra cosiddetta società avanzata Pensiamo a tutte le scoperte che la tecnoscienza ci va offrendo: eppure ci scopriamo fragili nella convivenza sociale, nel corpo e nel gusto del vivere».
E, allora, come uscirne? Chiara e immediata la risposta: «O subiamo nella paura che, pur comprensibile, non basta o cerchiamo di avvolgere il male, da ogni parte, con il bene». Quel bene che ciascuno è chiamato a compiere a livello personale «e che si dilata alla famiglia ai parenti, al vicinato, a coloro che vivono la stessa appartenenza di fede come è nella grande tradizione ambrosiana. Gesù, con le Beatitudini, ci indica questo e san Pietro ci dice che l’amore per Gesù, da cui ha origine l’amore tra noi, è la modalità che ci permette di raggiungere una felicità che non è impossibile. Questa è la grande eredità della religione cristiana, il realismo. Dobbiamo affrontare il limite e occorre che le nostre prove siano occasione di offerta anche per le Istituzioni ecclesiali e civili. Il limite non annulla la dignità di nessuna persona e la vita, anche nella sua fase terminale, può essere occasione di dono per tutti».
Infine, la consegna è rivolta personalmente ai pazienti: «Voi siete costruttori di civiltà della nuova Milano che lentamente sta emergendo nella fatica di ogni giorno e siamo grati alle Istituzioni nella misura in cui si rendono conto della grandezza di tale dono, prendendosi cura della persona e cercando un accompagnamento reciproco che testimoni l’amore che ci vogliamo. Offriamo ai piedi della Madonna le nostre prove e fatiche, sapendo che l’ultima parola è la gioia».
Poi, lo scambio di un saluto di pace portato dall’Arcivescovo a uno a uno dei malati in carrozzina e l’Adorazione Eucaristica, il suggestivo e tradizionale Te Deum cantato in ginocchio e la visita al reparto Pio XI del Trivulzio.