“La festa che dà origine a tutte le feste”, come recita, nella nostra liturgia, il Prefazio del giorno di Pasqua, giorno, dunque – dice il Salmo 117 –, in cui rallegrarsi ed esultare. È il Pontificale solenne di Pasqua, presieduto dal cardinale Scola in una Cattedrale che pare ancora più bella nella mattina inondata di sole e dei colori che attraversano quelli delle vetrate. Immagine viva della festa di gioia intorno a Gesù risorto, «Colui che è entrato in un genere nuovo di esistenza».
A questi sentimenti, pur nelle difficoltà del nostro travagliato tempo, dà voce l’Arcivescovo «per lasciarci educare da Lui: così è successo per tutti i discepoli, come documenta la Parola di Dio oggi proclamata, così, con pazienza, dobbiamo fare noi». Seguendo, per questo, le apparizioni di Gesù, ponendo mente a come si può riconoscerlo «misurando la sua nuova fisionomia», anche se «l’attitudine a “misurare” tutto, oggi massicciamente promossa dalle strabilianti scoperte delle scienze nel loro connubio con le tecnologie, ci rende spesso insensibili ai livelli più profondi della conoscenza di cui pure siamo dotati. Tendiamo a pensare che ciò che non è misurabile empiricamente semplicemente non esista».
Eppure è sempre più necessario andare in profondità, suggerisce Scola: «Scopriremmo così la fecondità del “pensiero” di Cristo, del provare i suoi stessi “sentimenti”», così come fece la Maddalena, portando il lieto annuncio, perché come lei, «non siamo visionari, ma testimoni del Risorto. Vincendo il terribile duello contro la morte, Gesù ha aperto alla nostra vita la speranza certa del “per sempre”. Questo desiderio del “per sempre”, che ogni uomo si porta nel cuore, prende forma piena con la Risurrezione».
Il pensiero non può che andare a chi muore, magari, semplicemente perché porta al collo una croce o entra in una chiesa, «le nostre sorelle ed i nostri fratelli inermi, che in Medio Oriente, e altrove, non cessano di consegnare la vita al martirio».
Da qui la richiesta di un impegno fattivo, anzi la triplice consegna, nella consapevolezza delle «importanti implicazioni che la fede nel Risorto porta con sé per la vita terrena e che i cristiani – talvolta troppo timidamente – non cessano di proporre, soprattutto nella nostra società plurale».
Anzitutto, il “per sempre” che chiede di salvaguardare la dignità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale. «Che qualità di vita può possedere una società che non accoglie il concepito, in cui non si accompagnano i propri cari nel trapasso dalla morte alla vita definitiva?», si chiede il Cardinale.
Poi, il “per sempre” che illumina l’amore tra l’uomo e la donna, «testimoniato dalle migliaia e migliaia di sposi dopo trenta, quaranta, cinquanta e più anni di matrimonio. Da questo amore fedele e aperto alla vita scaturisce un fattore di solidità per le nostre società. La famiglia, infatti, è scuola primaria di fiducia, di promessa, di compito, di realizzazione. Senza di essa non si può edificare una vita buona e capace di accoglienza».
Infine, lo stesso Cristo risorto, «il “per sempre” dell’amore del Padre per ogni donna ed ogni uomo, che si manifesta nell’esperienza del perdono» e che invita, quindi, specie in questo Anno della Misericordia, a perdonarci vicendevolmente quali fratelli e sorelle nella nuova parentela istaurata da Lui.
Sono queste le radici salde della speranza affidabile, per cui «al di là di tutte le prove personali e sociali che stiamo attraversando, è oggi vittoriosa nei nostri cuori la gioia per la Risurrezione di Gesù», conclude l’Arcivescovo, che scandisce, ripetendole, in inglese, spagnolo e francese, le bellissime parole che rimangono come un sigillo dell’augurio pasquale: «Fratelli e sorelle, noi, come la Maddalena, non siamo visionari, ma testimoni, senza indugio, del Risorto».