«Sappiamo di vivere in un momento in cui le tenebre dell’odio, della violenza – che si tinge anche, purtroppo, di colori religiosi – rischiano di sopraffare la luce dell’amore di Dio e il dono della sua pace vera. Anche in questi ultimi giorni non sono mancati fatti di sangue e più di una Comunità presente in questa nostra preghiera è segnata dal dolore per la morte di fratelli e sorelle che, con il prezzo della vita, hanno pagato la loro testimonianza di fede».
Nella sera in cui a Milano, con la Preghiera ecumenica, si apre la Settimana per l’unità dei cristiani, è il cardinale Scola a dare voce al dolore per il dramma del martirio, pur nella serenità di un incontro di fede che vede riuniti rappresentanti e fedeli di diverse confessioni. Lo sottolineano le invocazioni e le meditazioni anzitutto dei tre celebranti – oltre all’Arcivescovo, la pastora Nora Foeth della Chiesa luterana e padre Tovma Khachatryan della Chiesa Apostolico Armena -, così come quelle degli altri numerosi ministri delle Confessioni aderenti al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. E così l’ecumenismo di pace non può che farsi richiamo e pensiero all’ecumenismo del martirio, come lo ha definito papa Francesco.
Nella antichissima Basilica di San Lorenzo, le cui origini risalgono al V secolo, si prega, si canta, si riflette e si compiono gesti di comunione, in una penombra suggestiva che spinge, anche emblematicamente, a domandarsi come vivere con speranza un domani buio, potendo sempre affermare «facciamo questo perché abbiamo incontrato il Signore della vita», come dice il parroco monsignor Gianni Zappa, dando il benvenuto e aggiungendo con le parole del martire Lorenzo: «Quando preghiamo vorremmo sentirci davanti a Dio poveri tra poveri, i veri tesori della Chiesa».
Per questo ci si riunisce nel nome dei martiri di ieri, di oggi, dei testimoni di quel «martirio della pazienza», che riguarda ognuno di noi, «chiamati ad annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio», secondo il tema dell’Ottavario 2016 scelto dai cristiani lettoni con il famoso brano della prima Lettera di Pietro. «Un versetto che rimanda all’impegno – fatto proprio negli ultimi tempi da molte Chiese con diverse, ma convergenti declinazioni – per un annuncio comune del Vangelo in una società secolarizzata», spiega Giorgio Acquaviva, presidente del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, che nel capoluogo lombardo ha curato, in collaborazione con la Diocesi, le molte iniziative in programma per la Settimana: «Occorre moltiplicare le occasioni di testimonianza e di servizio comune nella sollecitudine fraterna nei confronti l’uno dell’altro, ma soprattutto nei confronti della società, operando insieme per la giustizia, la pace e la salvaguardia del Creato. Forse i tempi sono maturi per un nuovo passo avanti nella nostra ancora imperfetta comunione tra Chiese, per continuare il cammino di un ecumenismo possibile allargando il cuore all’ospitalità».
Accompagnati dai canti delle differenti tradizioni eseguiti dal Coro della Comunità pastorale Giovanni Paolo II di Milano – molto attiva e impegnata in campo ecumenico – e della Chiesa ortodossa russa, si invoca lo Spirito Santo, si invita alla preghiera di Riconciliazione, si ascolta la Parola di Dio, si proclama il Vangelo di Matteo nelle Beatitudini.
Torna, allora, nell’omelia della pastora evangelica valdese Daniela Di Carlo, lo stridente e doloroso contrasto tra la speranza, dovere dei credenti, e ciò che stiamo vivendo e che, sulla scorta di filosofi come Miguel Benasayag e Ghérard Schmit, viene definita «l’epoca delle passioni tristi». In uno scenario pieno di confusione, malvagità, di conflitti dove si annida l’ideologia della crisi a ogni livello, dentro e fuori le Chiese, tutto diventa fonte di ansia. I punti di riferimento, gli assoluti che passavano da una generazione all’altra, hanno perso spessore nell’epoca delle passioni tristi, senza saper cosa fare per il bene del mondo. Eppure «siamo donne e uomini chiamati a vivere la vita pienamente, con determinazione, non perché siamo meglio degli altri, ma perché crediamo in Dio e, scelti dal Signore, percorriamo la strada accompagnati da Lui. La speranza dell’Evangelo ci contagia e ci spinge a trovare soluzioni nuove che diano senso alla nostra umanità. L’autore della prima Lettera di Pietro scrive per rafforzare piccole Comunità che rischiavano di non reggere alla persecuzione. Ricordiamoci che quelle piccole Chiese oggi, forse, comprendono anche noi – osserva Di Carlo -. Noi che non possiamo essere identificati o identificarci come gente dai passi tristi perché siamo stirpe eletta che ha detto sì alla chiamata di Dio e così esercita un sacerdozio regale». Sacerdozio di servizio al popolo, come era nell’antico Israele, che segna «un rapporto con Dio la cui eco ricade sul mondo che beneficia di questa testimonianza. Aderire a Cristo è il segno inequivocabile della nostra elezione, sancita dal Battesimo, dall’annuncio della Parola, confermata dalla fede, intesa come apertura esistenziale al Signore». L’obiettivo è «sperare e allontanare le tenebre dall’umanità», con un lavoro vòlto a testimoniare «la grande narrazione di Dio», guardando in avanti, sognando un domani e dopodomani che sia un tempo benedetto. «Facciamo parte del Cristianesimo che è, forse, l’unica grande narrazione sopravvissuta: esercitiamola nella vita di ogni giorno, alimentando così quelle micronarrazioni che hanno lo scopo unico di essere luce per il mondo e sale della terra».
Non a caso, a conclusione della meditazione, i fedeli si recano all’altare, accendendo i propri piccoli ceri a quelli dei Ministri che hanno annunziato la Parola e, all’uscita del Rito, vengono offerti sacchettini contenenti un pugno di sale, attraverso cui si raccolgono offerte per sostenere il progetto della Comunità di Sant’Egidio e della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia per la gestione di corridoi umanitari.
«La liturgia che stiamo per concludere ci ha permesso di assaporare ancora una volta la bellezza e il gusto di trovarci tutti assieme, come cristiani, uniti nella preghiera e nel ringraziamento a Dio che ci ha scelti e consacrati come suo popolo – scandisce il Cardinale, nel richiamo al martirio in molte parti del mondo -. Anche in questo tempo delicato e talora oscuro di transizione, questa preghiera ci ha fatto sperimentare che la nostra comunione, per quanto imperfetta, è in grado comunque di dirci e di esprimere quanto sia potente e capace di trasformazione la luce che Dio ci ha donato nel suo Figlio Gesù Cristo. Essa illumina il nostro cammino ecumenico. Anche noi europei, o parte dell’nord occidente opulento, dobbiamo guardare all’ecumenismo nel martirio, segnato e cementato dal sangue dei tanti che vengono uccisi semplicemente perché il loro nome è quello di cristiani».
L’auspicio è di vivere la comunione autentica, simboleggiata da un corale e prolungato scambio di pace: «Sia esso il sigillo del nostro impegno. Promettiamoci gli uni gli altri di essere attori di ecumenismo, anzitutto tra le nostre Comunità, soprattutto tra i giovani, perché ogni uomo e donna del nostro mondo possa vedere con i propri occhi quanto è bello e quanto è profondamente umano vivere lo stile delle Beatitudini, lavorare perché ci sia pace in noi, tra noi, tra gli uomini, tra le nazioni, con il Creato, con Dio stesso».