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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Milano

Scola: «Comunichiamo
con coraggio la nostra fede»

Una preghiera per i cristiani perseguitati è stata letta all'inizio della terza Via Crucis presieduta in Duomo dall'Arcivescovo, dal titolo «L’innalzamento». L’esortazione a invitare alle celebrazioni pasquali chi, pur battezzato, ha perduto «la strada di casa»

di Annamaria BRACCINI

17 Marzo 2015

«I 17 fedeli cristiani uccisi domenica in due chiese in Pakistan e i 78 rimasti feriti sono solo le ultime vittime di una persecuzione “che il mondo cerca di nascondere”, ha denunciato all’ultimo Angelus papa Francesco, gridando il suo dolore per questi “fratelli che versano il sangue soltanto perché cristiani”.
Sono circa 100 milioni i cristiani perseguitati o discriminati per la propria fede: solo nel 2014 si stimano nel mondo 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate. Perché credenti in Cristo, oltre che in Pakistan, si rischia la vita in Corea del Nord, Somalia, Iraq, Siria, Afghanistan, Sudan, Iran, Pakistan, Eritrea, Nigeria, India.
Per loro, in modo particolare, preghiamo questa sera qui in Duomo, insieme a tutti coloro che seguono la celebrazione da casa.
Questo ricordo orante diventi da domani, e almeno per tutta la Quaresima, impegno di preghiera personale».

 

La preghiera per i diciassette cristiani uccisi domenica in due chiese in Pakistan e per i settantotto rimasti feriti, apre la terza Via Crucis in Duomo. A loro è dedicato il primo pensiero dell’Assemblea che affolla la Cattedrale e di quanti seguono il Rito attraverso i media. In Duomo ci sono migliaia di fedeli – molti in piedi o seduti persino per terra – arrivati dalle Zone pastorali II (Varese) e III (Lecco), con i rispettivi Vicari episcopali Agnesi e Rolla, cui si aggiungono gli aderenti a Comunione e Liberazione, al Cammino Neocatecumenale, a Cvx e a Rinascita Cristiana. L’impegno chiesto a tutti è quello, per la Quaresima, di un ricordo orante e della preghiera personale per questi martiri.

Un invito che, nella celebrazione – un «sacro gesto che è una sferzante sfida» –, si fa monito, con le parole del cardinale Scola, «a prendere sul serio, alla lettera, le grandi e profonde parole, camminando dietro a Gesù nelle tappe più pesanti della Via dolorosa», per non ridurre la Via Crucis a un semplice e «pio atto di culto pieno, magari, di stimolo estetico, ma che ci vede incapaci di raggiungere il cuore della questione». Quel centro pulsante di dolore e di rinascita che, dalla VIII all’IX Stazione, ripercorre i tragici momenti finali di Cristo fino al suo essere inchiodato sulla croce. «Ci sta di fronte la sua Croce, smisurata rispetto a noi piccoli uomini, incapaci anche solo di qualche istante di effettiva partecipazione», spiega l’Arcivescovo, in riferimento alle Letture e ai testi di don Primo Mazzolari, Sant’Agostino, del beato Franz Jägerstätter e di Clemente Rebora.

Lo sguardo è all’icona scelta per la serata, il Cristo crocefisso di Tanzio da Varallo, «più una scultura che un pittura, con Gesù che protende se stesso verso la morte per i nostri peccati, in ogni tempo e in ogni presente», nota Scola. Le braccia inchiodate sul palo ignominioso sono «la visibilità della Sua compagnia inesauribile», resa certa «anche nel delirio di onnipotenza che ci caratterizza, non in questo o quel ramo della società, ma anzitutto in noi stessi». Una sicurezza che nasce dalla consapevolezza che, come dice la profezia sulla donne e su Gerusalemme, «essendo più infelice la condizione del colpevole di quella del sofferente, sveglia le nostre anime e aiuta tutta l’umanità al santo timore di Dio».

Infatti, il Signore che, nella terza caduta, «precipita più in basso di qualsiasi condizione umana di dolore, umiliazione, asservimento, annientamento» – nelle parole dell’Arcivescovo torna il dolore per il sangue versato «dai martiri cristiani, per i perseguitati e per l’immane, incessante esodo di diseredati dalle terre più martoriate del pianeta» -, attira tutti a sé. Cristo fonda, così, la speranza, «nel perdono per il nostro peccato, noioso, ma permanente dell’oblio di Lui e della nostra distrazione, ma a condizione di vivere nel dono totale di sé giorno dopo giorno».

È questa la méta da raggiungere, pur essendoci «di mezzo il mare tumultuoso del secolo», per usare l’espressione di Sant’Agostino, «da attraversare, come ogni secolo, con un mezzo straordinario e unico, il legno della croce».

Il “Gesù spogliato dalle vesti” della X Stazione diviene, allora, un preciso avvertimento per il presente: «Nessuno di noi vuole essere spogliato, ma il tempo che passa è un grande educatore a vincere questa resistenza a spogliarci di ogni cosa, a liberarci dal potere, dalla ricchezza, dagli affetti possessivamente intesi, dai progetti e dai sogni da cui cerchiamo insistentemente la nostra consistenza, perché chi si sa custodito dal Crocifisso non ha paura di essere spogliato da beni terreni». Non a caso, la «freccia che colpisce» attraverso la testimonianza di Franz Jägerstätter – ghigliottinato a Brandeburgo per la sua opposizione al nazismo  ricorda che tutti saremo spogliati e che «da qui comincia la battaglia». Solo così il diavolo è sconfitto, «anche se questo non è ancora del tutto vero nel tempo storico, solo nel rispondere all’attrazione dell’Innocente Crocifisso, lasciandoci attirare, offrendo la nostra povera vita a Lui e in Lui a tutti i fratelli; donando la vita che ci è stata donata, vivendo “con” e vivendo “per”».

Infine, riuniti «come fratelli intorno a questo stesso Crocifisso», la speranza è quella di «riprendere, con energia, il tempo quaresimale attraverso due tensioni particolari: il prepararsi bene a ricevere il Sacramento della Confessione, magari ritornando a un esame di coscienza circa il nostro rapporto con Cristo, e nel comunicare con coraggio la fede, invitando al Triduo e alle celebrazioni pasquali soprattutto quanti, pur battezzati, hanno perduto la strada di casa».

La Via Crucis andrà in onda in replica venerdì alle 21 e sabato alle 7.15 su Telenova 2.

Come un lampo nella notte oscura

Una forza profonda anima la pittura di Tanzio da Varallo. Un’energia che sgorga dai corpi stessi dei suoi personaggi, dalle membra nervose delle sue figure. Come accade in questo supremo, definitivo Cristo crocifisso, scelto come icona della terza tappa dell’itinerario catechetico di Quaresima. Nel buio di un giorno diventato improvvisamente nero come la notte, una luce vivida illumina il corpo eburneo di Gesù inchiodato alla croce. Stille di sangue vermiglio solcano il candore marmoreo della carne, riversandosi come balsamo sulle aride ossa posate ai piedi del patibolo: cranio e tibie di Adamo, il primo uomo, che insieme all’umanità intera attende l’ora della redenzione. Un’immagine potente, da contemplare in quello stesso silenzio di cui è ammantata. Eppure questo dipinto, oggi al Museo Diocesano di Milano, ma proveniente dalla chiesa parrocchiale di Gerenzano (e recentemente attribuito alla mano virtuosa di Tanzio), va osservato non solo nel suo insieme drammatico e maestoso, ma anche nei suoi più minuti e nascosti dettagli, che il pittore ha inserito quasi come in un codice da decifrare. Come nel profilo dei palazzi e delle torri sullo sfondo. Come in quella coltre di fumo che sale dalla quinta urbana. O in quei sepolcri scoperchiati. E, soprattutto, in quel minuscolo agnello mistico munito di vessillo, il cui sangue si riversa in un calice: simbolo di sacrificio, e già segno di risurrezione.
Luca Frigerio