“Trasformare, con l’amore, il lavoro umano della nostra giornata abituale in opera di Dio di portata eterna”.
Scriveva così san Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore della Prelatura dell’Opus Dei, nella sua notissima opera di orientamento spirituale, “Forgia”. E questa potrebbe essere anche l’espressione-simbolo che sinterizza l’intera riflessione del cardinale Scola che presiede in Duomo la Celebrazione eucaristica in memoria del fondatore, nel giorno della Festa liturgica a lui intitolata e nell’anniversario della sua salita al cielo, avvenuta il 26 giugno, appunto, del 1975.
Concelebrano due vescovi – monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale per la Vita Consacrata maschile e monsignor Angelo Mascheroni –, molti sacerdoti, tra cui padre Francesco Ielpo, commissario per la Terra Santa della Provincia francescana del nord Italia con cui la Prelatura ha collaborato per avviare il Centro di Abu Gosh, a 15 Km da Gerusalemme sulla strada di Emmaus, in cui stanno per iniziare le attività: pellegrinaggi, ritiri, convegni di studio.
Come quasi ogni anno dal 2012, l’Arcivescovo celebra in questa ricorrenza, come ricorda il prelato per l’Italia, don Matteo Fabbri nel suo saluto, richiamando la visita di papa Francesco, come pure l’Eucaristia, presieduta sempre dall’arcivescovo in Cattedrale nel gennaio scorso, in suffragio del prelato dell’Opus, scomparso da circa un mese, don Javier Echevarrìa. Poi, dopo pochi giorni, l’elezione del successore, monsignor Fernando Ocariz: «Prelato che ci ricorda molto da vicino il programma pastorale che Lei – dice don Fabbri rivolto al Cardinale – ha indicato per la Diocesi negli ultimi due anni».
Da qui, proprio dall’educarsi, in profondo, al pensiero e ai sentimenti di Cristo, prende avvio l’omelia.
L’omelia del Cardinale
Se il Vangelo di Luca, nell’episodio della Pesca miracolosa appena proclamato tra le navate, inizia la narrazione di una scena di vita quotidiana che vede protagonisti il Signore, i discepoli e la folla, così Gesù che ha «bisogno degli uomini, del loro lavoro dei nostri affetti», implica una testimonianza chiara e precisa. Quella del “lavoro” che Cristo chiede a Pietro e ai discepoli, nella stessa pagina evangelica: “prendi il largo e gettate le vostre reti”.
«Accogliendo l’invito di Gesù, Pietro riprende a lavorare e la sua attività diventa occasione perché, con una pesca straordinaria, si manifesti la gloria di Dio».
Evidente la conseguenza, inscritta, peraltro, nella scelta di fondare l’Opus Dei.
«San Josemaría fu ben consapevole di questo “stile” di Gesù, del Suo scegliere la via ordinaria per incontrare gli uomini e farseli amici. Non malgrado il lavoro, non a margine del lavoro, ma proprio per mezzo del lavoro quotidiano».
Ma cosa significa questo, oggi, per noi tutti?
«Abbiamo ricevuto il più grande dono che si possa ricevere, la fede, l’essere cristiani. In forza dell’Iniziazione cristiana siamo figli di Dio per il Battesimo, testimoni di Cristo per il dono della Confermazione, e partecipi della mensa celeste grazie all’Eucaristia, nutrimento quotidiano per il cammino. Questi tre Sacramenti, che dicono tutta l’identità del fedele cristiano, ci configurano a Cristo. Che cosa “aggiunge” al dono sacramentale – se possiamo parlare così – questo riferimento al lavoro quotidiano?», chiede, difatti, Scola.
«È importante, anzitutto, notare che questo richiamo al lavoro è rivolto a ogni fedele cristiano di qualunque stato di vita: ai fedeli laici, ai fedeli consacrati nelle varie forme esistenti nella vita della Chiesa (da quelle monastiche a quelle laicali), ai sacerdoti. Perché il lavoro, nell’orizzonte della fede, fa maturare tutta la nostra umanità e crescere la libertà. Il lavoro è occasione per accogliere il dono sacramentale di Cristo e farlo fruttificare nel tessuto quotidiano che è fatto di circostanze e di rapporti. È il luogo in cui memoria di Cristo ed esistenza tendono a coincidere, così che a tutti sia annunciato il Vangelo di Gesù».
Particolarmente interessante la notazione del’Arcivescovo: «Sul lavoro incontriamo chi ci viene posto accanto, non lo scegliamo noi e negli ambienti di lavoro siamo chiamati a far coincidere il nostro operare con la memoria di Cristo risorto».
Per questo in “Forgia”, ma ovviamente non solo, san Josemaría volle sottolineare «l’unità tra l’amore e il lavoro: essi sono, infatti, i cardini dell’esperienza di ogni uomo che, se trasfigurata gratuitamente dall’incontro con Cristo, diventa occasione di annuncio del Vangelo a tutti, nessuno escluso. La santità è dono e cammino offerto ad ogni cristiano, a ciascuno di noi, e si rivela come vocazione veramente universale; la santità è per tutti e non esclude nessuno, proprio quando si radica nel lavoro come la strada ordinaria a tutti donata».
Alla fine, concludendo la Celebrazione, ancora un richiamo del Cardinale rivolto ai tanti fedeli presenti: «Il tempo che stiamo vivendo ci impone di rendere presente nel quotidiano della vita feriale, la prospettiva di gloria della vita eterna, che già san Josemarìa vive e che ci consente un rapporto nuovo con le persone e le cose. È urgente questa testimonianza semplice e diretta per poter ritrovare la strada del cuore dell’uomo di oggi, cosi bisognoso e assestato di eternità ma, nello stesso tempo, confuso».