Due Decanati cittadini ampi – con una popolazione complessiva di 130 mila abitanti – che ben delineano il volto della metropoli multietnica e pluristratificata, dallo skyline delle nuove Zone semicentrali della città a via Paolo Sarpi con la sua Chinatown, dalle periferie intorno allo Stadio Meazza fino a quelle estreme ad altissima densità musulmana.
Sono le realtà decanali Sempione e San Siro che il cardinale Scola incontra nella parrocchia di Santa Maria di Lourdes, come 48° e 49° Decanato, proseguendo la Visita pastorale feriale. «Un dono», come lo definisce don Vittorio De Paoli, parroco di San Giuseppe della Pace e decano del Sempione. Accanto lui don Paolo Zago, decano di San Siro, parroco di San Protaso. L’incontro, che si apre recitando la Compieta, è introdotto dal Vicario di Zona, monsignor Carlo Faccendini. Molta la gente e tanti i sacerdoti – tra cui il parroco nominato della parrocchia ospitante, don Maurizio Cuccolo -, religiosi e religiose che occupano diverse file.
Un incontro per un «approfondimento del senso della nostra vita cristiana e, quindi, per crescere in quella nostra appartenenza a Gesù che, come si vede bene qui stasera, passa per la Chiesa. Occorre incontrare Cristo in maniera personale, attraverso la strada che lui ci ha indicato, ossia la comunità. Non si può farlo in modo isolato. Questa occasione è preziosa perché ci costringe a ripensare al nostro cammino, ma non con lo sguardo rivolto al passato», spiega in apertura l’Arcivescovo.
Poi, come per ogni Decanato, la definizione di cosa rappresenti la Visita pastorale per il Vescovo e la Comunità, la sua articolazione e lo scopo: superare il fossato tra fede e vita, «non solo in chi ha perso la strada di casa, ma anche per tutti noi che vogliamo vivere la fede. Oggi vi è, certo, una partecipazione al gesto sacramentale più convinta, ma occorre aiutarsi ad affrontare i problemi quotidiani con il pensiero di Cristo, non vergognandosi», chiarisce Scola, che aggiunge: «Ora ho una visione molto più concreta della Diocesi, proprio grazie alle vostre domande e all’ascolto». Da qui l’indicazione della scelta della fisionomia della Visita non come una lezione, ma come dialogo e, quindi, ascolto di fecondazione.
Appartenenza alla comunità e separati
Si inizia, infatti, con le domande, frutto del discernimento a livello dei Consigli pastorali parrocchiali e decanali: «Qual è la via per far brillare tiepidezze e ceneri nascoste nell’esperienza di fede?»; «Qual è il Vangelo che le famiglie separate o le nuove unioni hanno da comunicare alla Chiesa?».
«Guai alla comunità parrocchiale, all’associazione, al movimento, al gruppo che smette di guardare e accompagnare i nostri fratelli che hanno ricevuto il battesimo, e tramite loro, tutti coloro che vivono acanto a noi. Quando parliamo di nuova evangelizzazione intendiamo rivolgerci a ognuno per far capire che nessuno è lontano dalle nostre comunità. Se limito la testimonianza di fede al campanile, ho già tradito la domanda che è nel cuore dei nostri fratelli. La proposta è possibile sempre, qualunque sia l’evoluzione della civiltà in atto. Non a caso Gesù si definisce “via, verità e vita” e la sua autorevolezza deriva proprio dal giocarsi in prima persona: questo, pur con i limiti che ci appartengono, dobbiamo fare anche noi». Chiaro il «centro» di questo stile di vita: «Lo sguardo rivolto a Cristo, nella consapevolezza della nuova parentela istituita da Gesù morente sulla croce. Nasce qui il problema del soggetto personale e di quello comunitario: si tratta di generare un senso di appartenenza stabile che dura tutta la vita, perché senza la comunità la persona non fiorisce».
Insomma, la strada è quella dell’appartenenza forte, come avvenne nella comunità di Gerusalemme descritta in Atti 2,42-47, indicata quale riferimento nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino. Vivere in profondità l’Eucaristia, la liturgia, la preghiera illuminata dalla Parola, guardando alla Vergine e al volto dei Santi ed educarsi al gratuito, specie verso i più esclusi. Infine, comunicazione semplice e gioiosa di ciò che si sperimenta alla sequela di Cristo. «Tenete spesso in mano il Crocifisso, come diceva San Carlo. Anche io, nella mia esperienza di sacerdote, di fronte a fatti tragici ho sempre detto alle persone: “Fatevi guardare dal Crocifisso”. Tutto questo servirà anche a formare un vero laicato, perché i laici non sono clienti della Chiesa, ma soggetti, tanto che il Diritto canonico dice che, se volete, potete fondare anche associazioni», scandisce il Cardinale rivolgendosi direttamente ai presenti. «La famiglia resta la strada privilegiata perché l’esperienza bella e attraente della fede sia comunicata con semplicità, partendo dal bisogno. Ai separati dobbiamo guardare con totale simpatia, comprendendo anche le prove che hanno attraversato. Nessuno è escluso dalla comunità».
Immigrazione, gratuità ed equilibrio
Ancora interrogativi: «Tra povertà diffuse delle nostre famiglie e immigrati, a chi dare priorità? Il Vangelo ci chiede di aiutare anche chi, arrivando tra noi, è fuori dalla legge? Cosa proporre per una Pastorale giovanile efficace?».
«Milano maschera un poco il livello dell’esclusione, perché non ci sono i grandi slums di altre metropoli, ma esistono situazioni di marginalità molto gravi, come sanno bene molti di voi. Nelle nostre chiese il coinvolgimento di realtà libere, associate e anche civili, è veramente imponente. Senza di loro il welfare non sarebbe possibile. Mi pare che la coscienza dell’ingiustizia radicale, anche per l’energia della predicazione di papa Francesco, sia andata crescendo. Il Papa ci ha chiesto di essere «una Chiesa povera per i poveri». Bisogna stare attenti alla demagogia, come il Papa stesso ha mostrato. Io mi chiedo, quando celebro in Duomo indossando magari una casula di Schuster o l’anello di San Carlo, se ho diritto di vendere queste reliquie per i poveri. Non ho ancora trovato una risposta», racconta Scola, che dà notizia del lavoro intrapreso in Diocesi «per attuare una vera perequazione tra le parrocchie».
Sui profughi, «bisogna che i cittadini si muovano avendo il coraggio di superare le paure, aiutando sempre tutti nella misura del possibile. Possiamo capire la paura, per noi e per loro che giungono qui, è uno sconvolgimento enorme, ma con la paura non si va da nessuna parte. I processi al massimo si possono orientare, e si tratta di affrontarli secondo la logica della gratuità con equilibrio. Noi, come Chiesa, facciamo un primo intervento, tuttavia chiediamo alle Istituzioni politiche aperte, generose, ma precise nelle condizioni da porre. La società civile sta già facendo il resto e fa maturare le situazioni. Insisto che ci vogliono un Piano Marshall e una politica equilibrata che tenga conto delle nostre tradizioni e dell’ordine: ma il nuovo milanese ed europeo sarà comunque molto meticcio, basta vedere le nascite e i matrimoni misti».
Ancora, cosa proporre ai giovani? «Cristo come centro in cui tutte le cose acquistano nuovo senso. Per loro, sui 4 “fondamentali” della fede già indicati, bisogna costruire una comunità cristiana bella e attraente, non facendo nuove iniziative in continuazione. Si cambia: mi sembra che come Chiesa lo stiamo affrontando».