«Questa esperienza è per me di consolazione: una gioia grande che ha mi dato il senso dell’Episcopato a Milano. Gli incontri, in cui ho potuto ascoltare e parlare con quasi 50.000 persone, mi hanno fatto capire cosa voglia dire fare il Vescovo».
Dice così il cardinale Scola, a proposito della Visita Pastorale, all’inizio dell’Assemblea ecclesiale che apre la Visita per il Decanato “Valle Olona”. L’Arcivescovo, dopo aver sostato alla Casa di Riposo “Raimondi” di Prospiano di Gorla Minore, per visitare gli ospiti tra cui 4 anziani sacerdoti (2 di 96 anni), giunge, attesissimo, nella chiesa di Santa Maria Assunta in Fornaci di Fagnano Olona.
«Nella Visita celebriamo la misericordia di Dio, grazie alla sua presenza vogliamo ravvivare la preghiera e la fede, convertire il cuore nella fraternità e nell’accoglienza», sottolinea il decano, don Giuseppe Lazzati che è accanto al Cardinale insieme al vicario episcopale di Zona IV, monsignor Giampaolo Citterio.
E che sia una comunità di grande «tradizione umana e spirituale», come nota ancora il Decano, lo si capisce subito, dal modo con cui la gente e i Consigli pastorali si sono preparati alla serata, attraverso un lavoro durato circa 1 anno e che proseguirà ancora per mesi.
«Mancano ormai solo 7 Decanati e ci avviciniamo, quindi, alla conclusione della Visita», osserva Scola che definisce lo scopo generale che ogni Vescovo deve perseguire con la Visita stessa, e l’obiettivo specifico di quella scelta per la nostra Chiesa, identificato nel superamento del «fossato a fede e vita».
«In Diocesi vedo che la partecipazione all’Eucaristia è molto più matura e convinta di un tempo – “actuosa”, come dice il Concilio –, e che emerge un senso spontaneo della fede. Nella fatica del vivere quotidiano, la gente cerca il nesso con Dio, ma c’è un “ma”: quasi sempre, usciti di chiesa, ci dimentichiamo di riferirci al volto di Cristo e tendiamo ad affrontare i problemi lasciando Gesù alle spalle e assumendo il modo di vivere le gioie e dolori di ogni giorno dalle convinzioni dominanti», scandisce il Cardinale, prima delle domande.
Pastorale di insieme e pluriformità nell’unità
Franco di Olgiate Olona chiede come «cogliere, nella pluralità di aggregazioni, l’unità della Chiesa»; Daniela di Malnate nota «la bellezza del vivere insieme nel Decanato e domanda quale ne sia il compito e il ruolo». Un tema, questo, particolarmente sentito nella realtà di “Valle Olona” dove le 14 parrocchie sono riunite in Comunità pastorali e Unità, per un totale di quasi 66.000 abitanti.
Dal «cambiamento che sta segnando la nostra Diocesi con la Pastorale d’Insieme», parte, infatti, la risposta dell’Arcivescovo. «È importante comprendere questo dato concreto anche per spiegare la pluriformità nell’unità. Spesso c’è una resistenza della vita ecclesiale alle Comunità pastorali: è una fatica normale che non deve meravigliare perché i processi implicano una lenta maturazione. Tuttavia, è una scelta profetica che anticipa i tempi indicando che la Comunità pastorale è e sarà sempre più adeguata a quella “Chiesa in uscita” che chiede papa Francesco. La ragione è la missione, il permettere di vivere Cristo come via alla verità e alla vita. La fatica del CP si scioglierà se non anteponiamo l’organizzazione alla sua natura missionaria. Ricordiamoci bene che la Comunità vuole essere al servizio della comunione e della corresponsabilità di tutti i membri del popolo di Dio, dei laici come soggetti di Chiesa e dei sacerdoti.
Per questo – poiché la missione è testimonianza –, «è fondamentale che il modo di pensare di Cristo diventi il criterio del vivere», sapendo valutare ogni situazione. «La Chiesa posa su due fattori: l’unità che sta all’origine e che, nei diversi carismi che lo Spirito santo suscita, è mossa, dinamica, vitale, e la pluriformità. Mettere al cuore la pluriformità nell’unità, il “noi” ecclesiale, è il modo con cui lo Spirito ci chiama a vivere la fede incarnandola: Tutto deve essere funzionale a questo: la carità, la cultura, la preghiera.
Crisi economica, Comunità educante
Si prosegue con Patrizia di Prospiano che si interroga sulla crisi economica. «Come possiamo, da cristiani, consolare queste situazioni e affrontare il problema?». Rachele da Castellana affronta la questione degli oratori e della Comunità educante.
Chiara, con una premessa, la riflessione del Cardinale. «Viviamo un cambiamento di epoca nel quale, purtroppo, si parla di post-cristianesimo, perché, appunto, la fede, uscita dalla nostra vita, come diceva Henry De Lubac, non viene più percepita centrale, diventa inutile e, alla fine, è messa da parte».
Tuttavia, «tutti gli uomini, avendo esperienza della propria fragilità, sono mossi da un atteggiamento di compassione e, naturalmente, la compassione produce generosità». Ma il problema è «per Chi e perché condividiamo il bisogno dell’altro».
«Per spiegare quale deve essere l’atteggiamento compiuto del cristiano di fronte al travaglio in atto e a una mutata modalità del lavoro, diventato un percorso con alto rischio di precarietà, non basta la generosità, ma occorre la carità. Dobbiamo essere aperti a tutti, con ciò che riusciamo e possiamo fare, ma il modo deve essere la carità piena, un amore ricevuto e donato da Gesù che passa in ogni azione che compiamo».
È in questo amore gratuito che si genera la completezza dell’io e si trova l’unità della persona. «Ciò serve anche per spiegare come sperimentare la Comunità educante. Mentre ai miei tempi l’oratorio era come una riproduzione in miniatura del mondo, che faceva capire il per Chi stavamo insieme», ricorda Scola, oggi serve un’alleanza educativa tra tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati a far crescere i ragazzi e i bambini, «posti anch’essi di fronte alla frammentarietà della vita fin da piccoli». Insomma, «la Comunità educante è un prendersi cura gli uni degli altri», anche tra adulti, suggerisce Scola.
Il calo delle vocazioni sacerdotali
Infine, il nodo doloroso del calo delle vocazioni. Che fare?
«Prima di tutto pregare, pregare, pregare – ripete tre volte l’Arcivescovo – dicendo, ogni giorno, almeno un’Ave Maria così come la mattina dobbiamo fare un Segno di croce».
«Si dimentica sempre che la vita va vissuta come vocazione in ogni circostanza e rapporto che il Signore ci manda, perché è il dito di Dio nella nostra esistenza. La questione dello stato di vita poi scelto, viene, appunto, dopo la consapevolezza della vita-vocazione, non prima. Questo è il problema di ogni Pastorale vocazionale e, per tale motivo, ad esempio, essa deve essere subordinata a quella giovanile perché se non c’è una fede viva, sperimentata e comunicata, come fa ad accendersi la vocazione?».
«Naturalmente all’interno di tale coscienza si devono saper riconoscere i “segni” che ci sono inviati», conclude il Cardinale, richiamando brevemente la sua personale storia di discernimento. «In IV elementare venne nella scuola che frequentavo un predicatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane che ci parlò dell’andare in terra di missione. Mi entusiasmai, ma poi me ne dimenticai. Dopo 24 anni, quando ero all’Università, il pensiero è riapparso e sono diventato sacerdote».