Un ingegnere aerospaziale, un architetto, un amministratore comunale, due medici, ma anche l’operaio, il ferroviere, il ragioniere, il grafico “creativo”, il monaco e, poi, i giovani, che per età, non hanno un’esperienza professionale alle spalle, ma comunque, come gli altri, un grande futuro davanti. In comune, in ogni caso, hanno tutti una grande ricchezza, aver incontrato il Signore e scelto di diventare prete. Insomma, quella che il cardinale Scola definisce – in senso ampio – «la miglior gioventù». Quella dei venticinque diaconi – cui si aggiunge un religioso dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi – che in Duomo diventano con l’Ordinazione conferita per l’imposizione delle mani dell’Arcivescovo, i nuovi sacerdoti ambrosiani.
La Cattedrale, come sempre, per questo momento fondamentale della vita di una Chiesa locale e di quella universale, «uno dei momenti più intensi e commoventi del ministero del Vescovo», non riesce, fin dal primo mattino, a contenere i moltissimi fedeli, amici, parrocchiani, parenti, giovani legati ai candidati: concelebrano il cardinale Tettamanzi, i Vescovi ausiliari, i Vicari episcopali, i Canonici del Duomo e un centinaio di sacerdoti. I diaconi arrivano in Cattedrale, dal loro ritiro spirituale, in metropolitana, un po’ con lo stile di papa Francesco e con l’emozione nel cuore.
«La mia gratitudine va anzitutto a questi venticinque uomini per il tenace coraggio della loro libera scelta, che brilla luminosa agli occhi di tutti noi ambrosiani», dice subito il Cardinale nella sua riflessione. «Se c’è una cosa che ci tieni uniti, che brucia di colpo ogni distanza tra i fedeli di noi, qualunque sia la nostra età, la nostra cultura, la nostra professione e condizione sociale, è il bisogno che Qualcuno che si prenda stabilmente cura di noi. La nostra presenza così numerosa e intensa a questa assemblea eucaristica dice assai di più che un importantissimo, naturale affetto per i candidati al presbiterato». Candidati il cui compito l’Arcivescovo delinea con chiarezza attraverso alcuni punti fondamentali, in riferimento alle Letture come la Prima Lettera di Pietro che scrive “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato”. Parole che sono una “chiave” per comprendere l’essenza stessa del sacerdozio, contemplando il Crocifisso Risorto. Quel Cristo, per usare le espressioni di papa Francesco rivolte ai Vescovi italiani pochi giorni fa, «che è il bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. manto di consolazione più grande di ogni amarezza – e non mancheranno le amarezze, nota Scola –, metro di libertà e fonte di gioia».
Colui che è il Buon Pastore, esempio e paradigma di ogni azione pastorale, appunto, a favore e tra il popolo di Dio. Nasce da qui il profilo peculiare del sacerdozio, espresso attraverso le indicazioni del Decreto Conciliare Presbyterorum Ordinis: «È in forza del dono sacramentale che oggi ricevete, che siete configurati a Cristo non per sostituirlo – sarebbe folle oltre che impossibile – ma per agire in Suo nome: perché Egli stesso continui ad agire in mezzo al suo popolo attraverso la nostra povera persona». «Siete, siamo “mandati”, co-agonisti e non protagonisti. Non dimentichiamolo mai». Preti, dunque, presi a servizio e cooperatori per il Regno, nella carità da cui verranno riconosciuti «Quanto lavoro ci attende su noi stessi e sul nostro popolo, ad esempio nell’oratorio estivo, scuola di un amore effettivo e oggettivo di cui ha bisogno la nostra Milano, l’Italia, l’Europa, tutta», riflette il Cardinale, che aggiunge: «L’amore fraterno, la carità, infatti, è un linguaggio accessibile a ogni uomo. Non esistono lontani, anche colui che apparentemente sembra il più separato dalla Chiesa comprende immediatamente il linguaggio della carità. Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità. Sono questi i segni del Dio vicino: gli uomini e le donne che abitano il campo del mondo li aspettano come il seme buono che darà frutto».
È questo, «l’essere tra il popolo in comunione con il Vescovo e l’intero presbiterio, fratelli tra fratelli», che permetterà di non sentirsi mai soli: L’Arcivescovo lo sottolinea con forza, come un ulteriore snodo della vita sacerdotale, non nascondendosi le difficoltà. «Non parliamo con troppa superficialità della solitudine del prete – dice, infatti –, distinguiamo quella cattiva da quella buona e sosteniamoci a vicenda per non cadere in quest’ultima. La meta e chiara, la strada è posta, sapete dove andare, nessuna debolezza, nessun peccato, se riconosciuto e perdonato, sarà di inciampo al meraviglioso cammino che vi attende».
Quel cammino in cui gesti, sempre suggestivi, della Liturgia dell’Ordinazione sono il portale di entrata, con il “Sì, lo voglio”, le litanie, l’imposizione delle mani e la preghiera di Ordinazione da parte dell’Arcivescovo, del cardinale Tettamanzi, dei Vescovi ausiliari, del Vescovo di Mantova monsignor Busti. Infine, la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione crismale e la gioia dello scambio della pace anche con i genitori e parenti.
E, prima dell’applauso che suggella la Celebrazione, ancora un augurio del Cardinale: «Il più bello che possiamo fare è di rinnovare sempre il gusto appassionato per questo nobilissimo servizio, come ho potuto constatare incontrando una cinquantina di preti anziani pochi giorni fa. Ho visto gioia e serenità, una vita riuscita. Non lasciatevi mai soffocare dalla zizzania della paura, chiedete consiglio ove occorra, non chiudetevi, perché tenendo “tutto dentro”, l’io si spacca. Siete davvero la migliore gioventù». Parole e sentimenti ripetuti in privato, poco dopo, in un incontro a tu per tu con i preti novelli, per la consegna formale delle destinazioni di ministero, mentre sulla strada, all’ombra delle guglie, ormai è festa piena.