«La gioia di vivere profondamente una serata indimenticabile e meravigliosa»: questi i sentimenti cui dà voce don Mirko Bellora, decano di Vimercate, il 73° e ultimo Decanato nel quale il cardinale Scola arriva per avviare la Visita pastorale feriale: in Zona V, è uno dei più popolosi della Diocesi, con 160 mila abitanti, 29 parrocchie e 7 Comunità pastorali. Già molto tempo prima dell’ingresso dell’Arcivescovo l’ampio Teatro San Luigi di Concorezzo fatica a contenere la gente: in prima fila ci sono i Sindaci dei 19 Comuni del territorio, sacerdoti, religiose e consacrati, rappresentanti delle associazioni, i sacerdoti di questa realtà.
I gesti e la riflessione iniziale del Cardinale
Il dialogo privato con una decina di lavoratori della K-Flex, la multinazionale di materiali isolanti di Roncello, i cui cancelli sono presidiati da un mese e mezzo per l’annunciato licenziamento di 187 persone in vista della delocalizzazione della fabbrica in Polonia, precede l’Assemblea ecclesiale. A porte chiuse l’Arcivescovo porta la vicinanza della Chiesa ambrosiana, che per la vertenza in atto ha già auspicato «un gesto di speranza e disponibilità che coinvolga le parti, oggi così lontane».
Accompagnato verso il Teatro dalla banda civica, e poi accolto in sala dal Coro dei giovani, Scola ha accanto il Vicario episcopale di Zona, monsignor Patrizio Garascia, don Bellora e don Angelo Puricelli, parroco dei Santi Cosma e Damiano di Concorezzo. Lo scambio della pace, la Parola di Dio, i canti, il video iniziale e la partecipazione evidente (anche il loggione del Teatro è gremito e la chiesa è collegata in streaming) danno il senso di un dialogo atteso e al quale ci si è a lungo preparati, come spiega il Decano che, in riferimento all’episodio dei discepoli di Emmaus, parla di «una Chiesa che ha voglia di correre».
«La Visita vuole essere una convocazione, di cui stasera vediamo l’importante risultato, e una consolazione che strappa alla tentazione della solitudine cattiva. È questo il senso dell’Assemblea che siamo vivendo, che non è altro se non il prolungamento dell’Eucaristia», sottolinea in apertura Scola, che illustra brevemente lo scopo specifico dell’iniziativa, nata per superare «in questo cambiamento di epoca la frattura tra fede e vita. Pur nel passaggio dalla convenzione alla convinzione, assai più diffusa oggi nel vivere la fede, permane una difficoltà, per cui è come se ci perdessimo quando dobbiamo portare la mentalità evangelica e il cuore di Gesù nel quotidiano. È come se non emergesse il soggetto personale e comunitario nell’affrontare la vita che ricomincia ogni mattina. Ma, chiediamoci, per chi ricomincio? Per idoli passeggeri come il denaro o il successo, o per una Presenza viva?». Subito dopo, le domande
Iniziazione cristiana, giovani e Comunità pastorali
Don Marco Villa si interroga sugli itinerari di Iniziazione cristiana con la chiusura dei cosiddetti “Cantieri di sperimentazione” avviati dal cardinale Tettamanzi. «Chiudere il Cantiere non significa aver risolto i problemi. Ciò che abbiamo fatto nel 2013 ha voluto dire che ritenevamo conclusi i lavori previ. Certo, il percorso implicherà ancora fatiche – ci sono tempi in cui si può correre e altri nei quali andare più adagio -, tuttavia, siamo convinti che il problema base rimanga la frammentarietà della vita anche dei ragazzi, per cui abbiamo pensato la Comunità Educante. Pio X disse che bisognava dare il battesimo fin dall’inizio e, ai bimbi, la Comunione e la Cresima appena iniziava l’età della discrezione, ossia di una certa capacità di giudizio, quindi verso i sei anni. Ho constatato che il ragazzo, già in seconda e terza media, sta davanti ai Sacramenti in atteggiamento passivo, senza il senso della meraviglia per questo dono. Ma la cosa fondamentale è proprio la capacità di meraviglia che i ragazzi possono provare. Ci è sembrato quindi giusto non allungare i tempi dell’Iniziazione (ora la Prima Comunione si riceve verso i 7-8 anni) per tenere, magari, più a lungo i ragazzi legati a noi».
Chiaro l’auspicio, anche per l’interrogativo sui giovani posto da a Andrea, 25enne educatore: «Tocca alle nostre Comunità fare ai ragazzi, dalla prima media in avanti, una proposta attrattiva. Senza quest’ultima, infatti, è impossibile legarsi a Cristo e alla Chiesa, più che mai per un uomo disincantato come l’attuale, che si illude spesso di poter cogliere l’infinito del Paradiso attraverso tanti piccoli esperimenti di piaceri passeggeri». Si torna alla questione di fondo, scandisce il Cardinale: «L’incontro con Cristo è il punto fondamentale, vitale, bello dei nostri ambienti? La natura del Cristianesimo è qui: nell’incontro con Gesù, nella permanenza in esso attraverso la realtà comunitaria e nell’affronto della realtà. Persona e Comunità sono i due poli che permettono alla vita di funzionare».
Risposta valida anche per le immancabili difficoltà di sinergie nella Comunità pastorale, citate da Leandro, che richiama la possibilità di «progetti pastorali di sperimentazione». «Bisogna che la Cp proponga capillarmente la natura del cristianesimo e che, profeticamente, viva il suo motivo di fondo, che non è la diminuzione del numero dei preti, ma la comunione e la missione. Se non ci convertiamo, cambiando il cuore, la Cp non nascerà. Personalmente sono contrario all’uso delle parole “programma” o “progetto pastorale”, perché questi strumenti rischiano una grande astrazione e, quindi, uno straniamento dalla realtà, che è invece la mano di Dio nella storia e nella nostra vita»
Insomma, non possiamo pretendere di incapsulare tutto nell’organizzazione, suggerisce ancora l’Arcivescovo: «Semmai la proposta pastorale, poggiando su alcuni pilastri fissi, deve interpretare la realtà con i segni delle circostanze e dei rapporti che il Signore ci mette davanti. Se ha questa elasticità la Comunità è utile, altrimenti è una sequenza di servizi e iniziative».
Il ruolo della donna nella Chiesa e i Centri culturali
«I Centri culturali sono realtà decisive se educano al pensiero di Cristo», risponde il Cardinale ad Antonio che chiede: «Come i nostri Centri possono essere punti deflagranti e coinvolgenti verso una cultura di conoscenza della verità?».
Ma, nella sera dell’8 marzo non poteva mancare una domanda sul ruolo femminile nella Chiesa, come fa Rita, che cita l’importante iniziativa voluta dal cardinale Ravasi (una Consulta femminile costituita da 37 donne all’interno del Pontificio Consiglio della Cultura) e l’esempio di monsignor Tardelli, vescovo di Pistoia, che ha dato il via a un “Consiglio speciale” tutto in rosa. «Il servizio straordinario svolto dalla donna al mondo della Chiesa non è stato adeguatamente riconosciuto. Ora, finalmente, abbiamo iniziato a dare alla donna il peso cui ha diritto», osserva il Cardinale, che fa riferimento alla Lettera apostolica Mulieris dignitatem, alla propria lunga direzione del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia e ai molti suoi studi dedicati al rapporto tra uomo e donna (Uomo donna, il caso serio dell’amore e Il mistero nuziale). «Papa Francesco continua sulla via di San Giovanni Paolo II, che ha parlato delle due dimensioni della Chiesa: mariana e petrina. La donna tiene sempre il posto dell’altro, è una sorta di contro-immagine dell’uomo. Da questo punto di vista si può dire che la donna sia il “segnaposto” di Dio stesso nell’esistenza e il rapporto uomo-donna la radice della comunione. Ci sono oggi tante donne impegnate anche nella nostra Chiesa ambrosiana, ma la dimensione mariana deve ancora crescere. Quando diciamo “sì” a Gesù che viene al nostro incontro, viviamo tale dimensione mariana e capiamo l’importanza femminile. Tuttavia dobbiamo uscire dall’idea che la valorizzazione femminile sia un problema di potere nella Chiesa. Il vero potere deve radicarsi nella potestà del Signore e la potenza cristiana sta nel lasciarsi prendere a servizio: in questo la donna è già avanti».