Un attore famoso per una serata molto attesa, nella quale raccontare e raccontarsi come famiglie di oggi. Sarà Giovanni Scifoni, volto notissimo dal cinema ai social, dalla televisione al teatro, il conduttore dell’appuntamento del 18 giugno in piazza Duomo (ore 19), con cui culmineranno le iniziative della Chiesa ambrosiana in vista del X Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma a Roma, con papa Francesco, dal 22 al 26 giugno. Il titolo dice già tutto: «Sante subito». A Scifoni abbiamo chiesto come vivrà questo momento
Con quale spirito animerà la serata in piazza del Duomo?
Anzitutto sono molto contento che il Papa abbia fatto un appello a tutte le famiglie per prolungare la “piazza” di Roma in tutte le piazze d’Italia. Per me è anche una responsabilità. Sono molto grato alla mia famiglia d’origine, ma anche alla famiglia che abbiamo generato io e mia moglie Elisabetta. Credo quindi che il sentimento dominante sarà quello della gratitudine.
Lei è padre di tre figli. A suo parere c’è attenzione per la famiglia in quanto tale, nel nostro Paese, al di là di tanti slogan e di tante parole? Esiste una vera valorizzazione dell’istituto familiare?
Dal punto di vista delle istituzioni, non vedo grande attenzione, che potrebbe essere molto maggiore. Durante il Covid le famiglie sono state degli ammortizzatori sociali: tutto è stato caricato sulle loro spalle. Di fatto, il problema fondamentale in Italia è quello che i figli sembrano non rappresentare una questione per la società. La mentalità corrente dice che i figli sono di chi li genera. A mio modo di vedere, invece, i bambini dovrebbero essere figli di tutti, cioè figli della nostra società, perché dovremmo essere tutti una grande famiglia, la famiglia umana, la famiglia dello Stato. Tuttavia, non è così, anzi: sembra quasi che i figli siano, oggi, uno strano capriccio.
Proprio in epoca Covid lei ha ulteriormente accresciuto la sua popolarità producendo, per i social, dei video in cui ha coinvolto i suoi figli. Perché ha pensato a un’iniziativa di questo tipo, in cui fosse presente anche la famiglia?
Non c’è stata una logica precisa in tale scelta, è stato tutto molto naturale. Io facevo già video per conto mio, perché è un’attività che mi piace: facevo il «Santo del giorno», una specie di rubrica non quotidiana, ma settimanale. Durante il Covid – ma, devo dire, anche prima – è successo che i miei figli vedendomi, volessero in qualche modo partecipare. Ho cominciato a dar loro dei piccoli ruoli e si sono divertiti molto; poi è diventata una cosa di tutta la famiglia. È arrivata anche la Rai, che ha comprato il format... Sono molto orgoglioso di sapere che i primi contributi per la pensione dei miei figli li ha pagati la Rai…
Lei è anche attore di teatro, ha recitato in pièces molto impegnative, ma è stato protagonista anche di spettacoli leggeri. Si può comunicare la fede con l’ironia?
L’ironia è l’unica strada che conosco per raccontare alcune cose. Di fatto, per me l’ironia è la domanda, il raccontare non a senso unico, ma dialogico. Quello della fede, nello specifico, è un argomento che deve essere dialogico, contenere dentro di sé sia il personaggio protagonista che l’antagonista. Se io racconto la fede dal punto di vista di un credente, c’è il rischio di fare un’operazione a senso unico, appunto, che viene seguita solo dai credenti. Se invece si vuole arrivare a un pubblico più ampio, ci deve essere necessariamente spazio anche per il dubbio, e il dubbio è chiaramente anche ironia. Soltanto io, il me stesso che mette in dubbio tutto ciò che dico, posso essere il personaggio del fool, del giullare antico, che si prendeva gioco di quanto accadeva sul palcoscenico. È la parte ironica che mette in dialogo tutte le parti in gioco in uno spettacolo.
Lei ha più volte detto che non ci si deve vergognare di essere cristiani, mentre oggi pare che professarsi credenti sia quasi qualcosa di antiquato, di cui non andare fieri. Che cosa si aspetta da piazza del Duomo?
Non è tanto il vergognarsi della propria fede, secondo me, il punto è un altro. Quando si parla della fede, si ha quasi un complesso d’inferiorità. Credo che sia questo il problema ora dei cattolici: si sentono meno preparati di altri, meno “sul pezzo”. Invece non è così: abbiamo un bagaglio gigantesco di 2000 anni di storia, di pensiero filosofico e teologico raffinatissimi e potentissimi, che hanno molto da dire all’uomo contemporaneo. Dobbiamo tirare fuori, se così si può dire, questi tesori per darli a tutti, comunicarli, farli vedere e sentire. Invece pensiamo che siano poco appetibili…
Quindi far vedere una piazza del Duomo dove, da credenti, si parla della famiglia può essere anche un bel modo per dire che non abbiamo complessi d’inferiorità?
Esattamente così.
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