“Godiamoci questo segno straordinario di vitalità, universalità, imprevedibilità e al contempo libertà della Chiesa”. È l’entusiasmo con il quale Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali e sociologia politica all’Università di Bologna, commenta la giornata di ieri, culminata con l’elezione a pontefice di Jorge Mario Bergoglio, ora papa Francesco.
Qual è stata la sua prima impressione?
Il papa emerito Benedetto XVI, salutando i cardinali, ha parlato della Chiesa come di una realtà vivente. Ecco, ieri sera ne abbiamo avuto la prova, nell’imprevedibilità e nell’assoluta libertà che ha portato all’elezione a Papa del cardinal Bergoglio. È un grande dono per tutti.
Salutando i fedeli dalla loggia di San Pietro, papa Francesco ha detto di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”…
È un segnale simbolico, soprattutto per noi europei. È come se la grande semina di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avesse prodotto un raccolto più rigoglioso in America Latina che nel nostro continente. Ed è così. Per scuotere noi occidentali dal torpore e dalla stanchezza ci voleva un Papa che venisse da un Paese ancor più “lontano”, riprendendo le parole di Giovanni Paolo II. È motivo di riflessione per noi europei.
Cosa rappresenta, a suo avviso, la scelta di assumere il nome “Francesco”, che per la prima volta viene usato da un Pontefice?
Nell’Anno della fede è una scelta proprio azzeccata. Papa Benedetto, aprendo quest’Anno, aveva esortato i fedeli ad aggrapparsi a Gesù Cristo e andare nei deserti del mondo. Ora, ad accompagnarci in questo compito, abbiamo Papa Francesco, il cui nome riecheggia quello del poverello di Assisi…
Quale sarà il profilo teologico del nuovo Papa?
Essendo gesuita sarà molto attento a una teologia e a un magistero che rendano l’idea del Pastore che cammina insieme al suo gregge. Non è il Papa dei “conservatori” o dei “progressisti”, ma di Gesù Cristo, e sono convinto che avrà una capacità di rigenerazione e sorpresa della quale andare orgogliosi. Siamo di fronte a un uomo che conosce la povertà, materiale ma anche spirituale, degli uomini, come pure la devozione del popolo di Dio. È inoltre un uomo di scienza, capace di affrontare le sfide del tempo con rigore dottrinale, ma che – sono sicuro e lo ribadisco – ci sorprenderà.
Nel suo primo discorso si è presentato semplicemente come “vescovo”, rivolgendosi al “popolo”. Che significato hanno queste parole usate dal nuovo Pontefice?
Innanzitutto dimostrano la grande umiltà di quest’uomo, che cercherà di valorizzare quello che è il vero tesoro della Chiesa: Cristo e il popolo di Dio. Un popolo che abbiamo visto questa sera, in una piazza San Pietro gremita.
Su quali criteri pensa che impronterà la sua pastorale?
È di sicuro un Papa pastore, che si fa vicino alla gente. Sono convinto che il suo magistero sarà orientato a questa vicinanza. Sarà un pastore umile e santo, per un pontificato certamente non convenzionale.
A prima vista le sembra un “nuovo” Giovanni XXIII?
Papa Giovanni espresse fin da subito la sua bonarietà; qui colpiscono l’umiltà e la bontà, che danno un senso profondo di sicurezza. Parlando alla piazza, ha definito il suo pontificato fin da ora “cammino di fratellanza, di amore, di fiducia”, come se avesse deciso di giocare tutto sul piano della vicinanza antropologica, dando all’antropologia una sorta di naturale incarnazione in un uomo che non ne fa teoria, ma l’assume come compito pratico.
Come lo ricordano in Argentina, Paese dal quale proviene?
È un pastore molto amato, che rifugge dalle categorie malsane – progressista o conservatore – con le quali tendiamo a leggere la Chiesa.
Siamo a 50 anni dal Concilio Vaticano II, un anniversario aperto da papa Benedetto e che papa Francesco sarà chiamato a chiudere…
Grazie a quest’uomo il Concilio Vaticano II potrebbe uscire dalla sua ‘versione mediatica’ ed entrare in un terreno più reale, fatto di fede profonda, fedeltà, fiducia, amore, come pure autorità, l’autorità del vescovo che è padre e pastore.
È possibile prevedere quale ruolo riserverà ai laici nella Chiesa?
È presto per fare previsioni, però sappiamo che fuori dall’Europa le Chiese sono molto più vivaci dal punto di vista laicale. Questo Papa sicuramente è portatore dell’esperienza del suo popolo. E il fatto che abbia scelto Francesco come nome è un modo di guardare al mondo e alla Chiesa che non può non valorizzare uno spirito laicale. Perciò avremo attenzioni particolarissime verso i laici, in quello che non sarà certamente un pontificato clericale.