Uscire dagli schemi. Guardare l’altro negli occhi per capire di cosa ha bisogno e di cosa ha paura. Potrà sembrare semplice, ma è questo quello che si deve fare per accogliere una persona con disabilità secondo Marta Tresoldi, catechista della parrocchia Sant’Andrea Apostolo di Carugate e co-fondatrice del gruppo Fede e Luce attivo in quella comunità.
Come a casa di Zaccheo
Tresoldi sarà una dei testimoni al Convegno diocesano su comunità cristiana e disabilità «Inclusi? Di più: amici», che si terrà a Rho domenica 21 maggio (leggi qui la presentazione), dove racconterà dell’esperienza di accoglienza che da diversi anni è in corso a Carugate. Il titolo dell’intervento – «Zaccheo scendi, oggi devo fermarmi a casa tua» – è singolare: «Abbiamo voluto sottolineare – spiega Tresoldi – che percorsi di accoglienza come il nostro non sono fatti di cose straordinarie, ma ordinarie. In una comunità accogliente, tutti sono degni di partecipare, nessuno deve soddisfare determinate caratteristiche, perché la cosa più importante è la relazione e l’incontro avviene nella normalità della vita di ciascuno, come a casa di Zaccheo».
Sull’esempio di Fede e Luce
Tresoldi ci racconta perché l’esperienza di Carugate è stata scelta come esemplare: «Trent’anni fa con un gruppo di amici della parrocchia abbiamo conosciuto l’esperienza di Fede e Luce, il movimento internazionale ed ecumenico fondato da Jean Vanier allo scopo di incentivare le relazioni fra le persone, in particolare in riferimento alle famiglie che vivono la disabilità. Abbiamo deciso di fondare un gruppo di Fede e Luce a Carugate, che negli anni si è occupato di coinvolgere le famiglie con persone disabili in iniziative ludiche e spirituali».
Da qui al coinvolgimento più attivo in parrocchia il passo è stato breve: «All’inizio degli anni Duemila una coppia di origini romene si è presentata al parroco di Carugate chiedendo di iscrivere il figlio Willi, bambino con sindrome di Down, al catechismo insieme ai suoi coetanei. Il parroco ha allora chiesto aiuto al nostro gruppo, in virtù dell’esperienza che avevamo maturato nell’organizzazione di momenti di preghiera con un linguaggio fruibile da tutti». Così è nata l’avventura: ecco perché anche Willi e la sua famiglia racconteranno la loro storia al convegno.
Non sostegno, ma inclusione
«Abbiamo iniziato – racconta ancora Tresoldi – affiancando i ragazzi nei gruppi dell’iniziazione cristiana, poi alcuni di noi sono diventati catechisti, per uscire dalla dinamica “insegnante di sostegno”. La logica è, al contrario, quella di una piena inclusione: i ragazzi sono inseriti come tutti nel gruppo di catechismo. Il nostro contributo sta nel cercare di adottare un linguaggio semplice, che usa a piene mani simboli e di immagini, cosa tra l’altro molto apprezzata da tutti i bambini». In questo modo, aggiunge Tresoldi, il ragazzino con disabilità «non ha un posto speciale nella comunità, ma un posto uguale a quello di tutti gli altri».
Attualmente, la parrocchia di Carugate accoglie una quindicina di ragazzi con disabilità di vario tipo, delle scuole elementari e medie, ma anche superiori. «Non nego che la prosecuzione dopo i sacramenti sia difficile – spiega Tresoldi -, anche perché è l’adolescenza stessa a essere una sfida. Nel gruppo adolescenti, la catechesi per i ragazzi con disabilità diventa un po’ difficile. È vero, però, che gli adolescenti non fanno solo catechesi, quindi cerchiamo di inserire i ragazzi disabili nelle iniziative di gioco e servizio, oppure di proporre loro le attività di Fede e Luce. Quando si è creato un legame, si riesce meglio a coinvolgerli in questa o in quella iniziativa».