Link: https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/romero-voce-di-chi-non-ha-voce-la-forza-di-morire-per-gli-altri-238637.html
Sirio 18 - 24 novembre 2024
Share

Nuovo santo

«Romero, voce di chi non ha voce, la forza di morire per gli altri»

Ricordiamo l’Arcivescovo martire attraverso le parole del cardinale Martini, divenuto Pastore della Chiesa ambrosiana pochi giorni dopo l’assassinio del presule salvadoregno

di Pino Nardi

13 Ottobre 2018
Monsignor Romero con Paolo VI, canonizzati lo stesso giorno

«Fratelli e sorelle nel Signore, siamo qui riuniti questa sera nello stesso momento in cui in una città lontana, San Salvador, si celebrano i funerali dell’arcivescovo monsignor Romero. Siamo uniti in preghiera per lui e con lui: a un pastore che muore ucciso nel momento culminante della sua azione pastorale, cioè nell’offerta del sacrificio della Messa, il Signore apre le sue braccia e lo riceve con sé. E pregando perciò per lui e con lui, in unione con questo pastore del Signore sacrificato presso l’altare, preghiamo anche per tutto il popolo salvadoregno». Duomo di Milano, 30 marzo 1980: il nuovo pastore della Chiesa ambrosiana Carlo Maria Martini con emozione celebra la Messa in ricordo del Vescovo ucciso a San Salvador 6 giorni prima.

Le sue parole colpiscono al cuore una cattolicità ferita da questo barbaro assassinio. E invita a pregare «per la pace di questo popolo, per tutti coloro che ovunque, lontano e vicino, la violenza ha stroncato, per tutti coloro che, da qualunque parte vengano o qualunque realtà rappresentino, sono morti a causa della violenza, realtà sempre esecrabile e sempre indegna dell’uomo e della sua dignità condannata da Dio e dalla coscienza». Sono gli anni terribili di guerre civili, ma anche della stagione terroristica delle Brigate rosse.

Nelle intenzioni di preghiera, quella sera all’inizio della Settimana Santa, Martini riprende le parole di Romero nella sua ultima lettera pastorale. «In essa, dopo aver ricordato le situazioni difficili, nelle quali si trovava la sua Chiesa e il suo Paese, faceva alcune raccomandazioni finali, che mi sembrano molto belle per noi, per tutte le Chiese del mondo, soprattutto in questo inizio della grande settimana. Diceva: “Ci vogliono requisiti indispensabili e urgenti per affrontare la crisi politica e sociale: grande spirito di preghiera e di discernimento, grande chiarezza e fermezza nei criteri e nei valori evangelici, grande rispetto per tutti, grande rispetto dei carismi dello spirito, grande lucidità mentale e spirituale, grande spirito di dedizione e di sacrificio, profondo senso di gerarchia, di gruppo, di Chiesa, comunione con il proprio Vescovo, risposta di Chiesa e come Chiesa”. Ecco alcune parole che possiamo raccogliere da questo pastore ucciso, ma accolto dal Signore nella Sua pace».

Dieci anni dopo, il 24 marzo 1990, sempre in Duomo, Martini celebra la Messa in ricordo di Romero: «L’esemplarità di questa figura ci aiuta a capire quella di tanti altri nostri fratelli e sorelle, che hanno dato la vita per il Vangelo. Una esemplarità che si comincia ad approfondire oggi in maniera particolare dal momento che a San Salvador viene aperta la causa in vista della sua beatificazione». Oggi giunta alla canonizzazione solenne da parte di papa Francesco.

«C’è una coincidenza di date che mi lega all’arcivescovo Romero – continua Martini -: mi trovavo da pochi giorni a Milano, come nuovo Arcivescovo, quando giunse la notizia della sua morte avvenuta durante la celebrazione eucaristica. Fin da quel momento mi è parso che Romero fosse per me un esempio, un riferimento. Stavamo pensando proprio allora a preparare il Congresso eucaristico e io mi sono detto: ecco, l’eucaristia è qualcosa per la quale si muore, qualcosa che ci dà la forza di morire per gli altri».

«L’Arcivescovo – conclude Martini – visse soprattutto per difendere la vita dei poveri e dei perseguitati del suo popolo e, in tre soli anni, divenne uno dei più grandi profeti della giustizia. In lui non vi fu mai amarezza, risentimento, non alzò mai grida scomposte; voleva semplicemente, fortemente e umilmente, farsi voce di chi non ha voce».