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Sirio 11 - 17 novembre 2024
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Riflessione

Rimanere (a casa) nella Parola

Un brano del Vangelo della Domenica “di Abramo” stimola ad approfondire il significato della nostra relazione con il Signore, che è ascolto, accoglienza e obbedienza alla sua volontà

di don Luca CASTIGLIONIdocente presso il Seminario di Milano

14 Marzo 2020

Per i non molti che hanno il privilegio di celebrarle e per i non pochi che trovano i modi di ascoltarle, le parole della Scrittura e della liturgia risuonano in questi giorni con potenza singolare.

Alcuni esempi eloquenti: In piena vita ci è sopra la morte. Dov’è il nostro aiuto se non in te, Signore? (un’antifona della Messa). Non aspettate a convertirvi al Signore, perché non sapete che cosa generi il domani. Dal mattino alla sera il tempo cambia (un responsorio). Anche l’incipit del Vangelo della III domenica di Quaresima, detta “di Abramo”, interpella: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8, 31).

Cosa salva la vita

Di questi tempi interpella soprattutto il verbo rimanere (stare, restare, dimorare), risuonato all’infinito nelle indicazioni delle autorità, come anche nella corale diffusione di slogan “salvavita”. Ecco il punto: cosa salva la vita? La prudenza richiede senz’altro di “stare a casa”: è quanto possono e debbono fare coloro il cui intervento in prima linea non è richiesto (a questi altri, del resto, va tutta la nostra stima e gratitudine). Per arginare la pandemia e provare a sormontarla occorre che i provvedimenti di emergenza siano eseguiti con assoluta serietà. Ne va della sopravvivenza delle persone, soprattutto le più fragili. Ciò detto, ai molti che sono in salute e che, a conti fatti, se la stanno cavando decentemente facendo le loro cose, continuando a lavorare, prendendosi cura del prossimo, non potrà sfuggire che “stare a casa” non basta. È necessario, non sufficiente. Noi suoi discepoli siamo chiamati – senza bisogno di lanciare nuovi hashtag (che fanno presto il loro tempo, mentre ciò che abbiamo da dire si vuole perenne) – a rimanere nella Parola. Per noi e, lo crediamo, a vantaggio di tutti.

Fare silenzio

Che se, da un lato, il senso di fragilità percepito spinge a un più spontaneo rifugiarsi nel Signore, d’altro lato potrebbe non risultare spontaneo rimanere in Lui adesso, con la pronta disposizione ad ascoltarlo, con la sete di accogliere, discernere e fare la sua volontà. Non mi vergogno di confessare che la preghiera sulle Scritture è stata una lotta in questi giorni. Fare davvero silenzio; per un tempo scelto e determinato sospendere i pensieri dalle urgenze, dalle faccende pratiche per riassettare il quotidiano, dalle preoccupazioni e dalle perplessità, dall’immaginazione di scenari futuri, dall’enormità dei dati di cronaca circa l’epidemia (senza dimenticare che ci sono anche altri problemi); andare in disparte soli con Gesù; non rimanere avvinghiati al mare di persone che a oggi non si possono toccare, ma che affollano come non mai i pensieri; cercare di ascoltare quello che Lui ha da dire su tutto questo, cercandovi la traccia della sua provvidenza… Una vera lotta.

Ma quando si riesce ad ascoltarlo, cogliendo la Parola sua, sostanzialmente diversa da ogni altra, molto può cambiare. Può fiorire una pace profonda, convincente anche più di ogni motto di rassicurazione: «Il tempo passato con Te è sottratto alla morte… e ritorno alla fatica del vivere con indistruttibile pace» (Carlo Maria Martini).

L’ordine dell’Amore

Del silenzio che ascolta la Parola, sottolineo una delle qualità eccellenti che possiede: rimette ordine. Che cosa poi significhi fare ordine, questo tempo di provvisorietà e sospensione aiuta a meglio comprenderlo. Non è questione di ottimizzazione dei tempi, di appuntamenti ben incastrati e neanche solo di rispetto della gerarchia delle priorità. Non in prima battuta. Questi utili accorgimenti fanno l’ordo Tetris, se possiamo chiamarlo così. La Parola mette ordine nella vita anzitutto nel senso che permette a ogni singola azione d’imbeversi di senso, ordinandola all’unico fine: conoscere la verità, come rammenta il Vangelo di questa domenica. Ora, Gesù Cristo è la verità, e conoscerla significa amare Lui, come la sposa che “conosce” il suo sposo (così la Bibbia narra il loro fare all’amore). Non si tratta solo di ordo Tetris: è ordo Amoris.

Liberati e liberi

Conoscere la verità, prosegue il Vangelo, rende liberi. Sarà bellissimo tornare ad abbracciarci, come ci invitiamo reciprocamente a sognare nei messaggi di conforto “andrà tutto bene”. Ne sono convinto: andrà bene. Saremo liberati da questo male del Coronavirus. Che non è il solo male. Che non è il più grave. Ma liberati e liberi possiamo esserlo fin d’ora, nelle case in cui stiamo e che forse cominciano già ad apparire soffocanti. Liberati e liberi possiamo esserlo già ora, specialmente nel modo di comunicare. Perché è vero che abbiamo mezzi eccellenti per farlo e, probabilmente, molto più tempo a disposizione del solito, ma non è automatico che le parole aiutino. Possono anche infiacchire. I media e le nostre conversazioni non sono immuni dal rischio di essere nefaste, di imbruttirci, di appesantirci nel lamento, di intristirci nell’agitazione. A noi discepoli che rimaniamo nella Parola, è chiesta ora una qualità supplementare nell’uso delle parole. In quelle che scegliamo di ascoltare (informarsi è un dovere, ma non è necessario restare nel flusso continuo: bisogna saper chiudere) e in quelle che ci troviamo a scambiare (al telefono, come sui vari media, occorre una risoluta scelta di castità nel linguaggio).