La Parola e la coscienza, l’Europa e Milano, il passato, il presente e soprattutto i sogni per un futuro da vivere con speranza progettuale: il cardinale Carlo Maria Martini e quanto seppe profeticamente dire e indicare alla sua Diocesi e alla Chiesa intera.
C’è tutto questo nell’affollatissima mattinata di studi che la Fondazione Ambrosianeum, la Diocesi e la Fondazione intitolata al Cardinale, dedicano, appunto, a Martini in occasione del 40esimo anniversario del suo ingresso solenne a Milano. Presso la sede dell’Ambrosianeum, il parterre du roi dei relatori, tra cui l’Arcivescovo, ma anche di chi non ha voluto mancare, rende a pieno il senso dell’importanza dell’incontro: nelle prime file siedono i familiari del Cardinale, la sorella Maris, 6 Vescovi – Agnesi, De Scalzi, Giudici, Merisi, Testore, Brugnaro – uomini delle Istituzioni, come il già sindaco di Milano Gabriele Albertini, esponenti della società civile, sacerdoti e tanta gente.
«Qui Martini ci ha onorato di alcuni passaggi fondamentali del suo Ministero», dice il presidente di Ambrosianeum, Marco Garzonio, uno dei più attenti biografi e conoscitori dell’Episcopato martiniano.
La riflessione dell’Arcivescovo
«Abitiamo nella comunione dei santi e, quindi, non stiamo ricordando qualche frammento della memoria: Siamo in una dinamica che non fa confronti, ma fa vivere i predecessori sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo e le loro parole in Dio», sottolinea il vescovo Mario.
«C’è sempre un cammino di Chiesa che accompagna verso il compimento, verso la Gerusalemme celeste. Non stiamo celebrando un anniversario, ma una comunione a cui è necessaria la metafora delle parola. Questa insistenza sulla parola è quanto mai opportuna, ma non così semplice. Viviamo in un tempo nel quale ci si esprime con degli slogan e, allora, parlare di parola può sembrare anacronistico, ma proprio per questo, profetico. È un indicare un oltre, non un accondiscendere alle aspettative della gente. La parola è una profezia perché consente all’umanità di ritrovare una stima di sé che è, ora, molto minacciata. Il nostro essere qui non ci vede nostalgici di un’epoca irripetibile, ma motivati dal proposito di essere alleati perché la parola è debole, inerme e può essere taciuta, zittita e umiliata. Noi invece abbiamo il compito di imparare a parlare, avendo fiducia nel cammino dell’umanità, costruendo una storia umana che è degna di essere vissuta e una città, una società, un’Europa, un pianeta in cui potrebbe essere desiderabile abitare».
Gli interventi
Tra brevi stralci video e audio tratti dall’archivio multimediale della Fondazione Martini e dal film di Ermanno Olmi, “Vedere sono uno di voi”, si avviano gli interventi, dopo il saluto del presidente della Fondazione stessa, il gesuita padre Carlo Casalone che ne illustra l’attività con due obiettivi: «fare emergere lo stile di Martini, strettamente legato alla spiritualità ignaziana. Uno stile contemplativo nell’azione che permette di non lasciarsi travolgere dalla situazione in cui si è immersi. Un atteggiamento cruciale, nel mondo digitalizzato e globalizzato di oggi, in cui tempo e spazio sembrano contrarsi». Inoltre, «far diventare l’opera di Martini un’opera classica. Per poter dare una valutazione critica del presente e avere coscienza della prospettiva storica, occorrono strumenti: la logica di dialogo di Martini, la sua visione di giustizia, di bene comune, di società, la sua visione del Magistero permettono di non esse travolti». Il richiamo è all’“Opera Omnia” degli scritti del Cardinale, di cui prosegue la pubblicazione, e all’appuntamento della seconda “Martini Lecture” (Università Bicocca, il 4 marzo) in cui la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, parlerà di giustizia riparativa, a partire dagli scritti martiniani.
Dell’incontro vivo di coscienza e parola, come «eredità preziosa», parla monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente della CEI.
«Come il seme è fatto per il terreno, e il terreno resta arido senza il seme, così la Parola senza la coscienza diventa un seme secco e la coscienza senza la Parola diventa un deserto inabitabile e una torre di Babele. Martini è pienamente cosciente che al momento interiore, in cui il seme germina nella coscienza, corrisponde il momento del fruttificare della Parola, nella città e nel mondo, con una Chiesa di carità. Questo è l’orizzonte sconfinato che ci fa comprendere l’attualità di Martini: più il Vescovo di Milano sembrava concentrato sulla Parola, ancora meglio si faceva ascoltare nelle lande deserte dell’uomo contemporaneo. Il suo difendere la Parola è difendere l’uomo e i suoi orizzonti di senso».
Roberta De Monticelli, ordinario di Filosofia della Persona presso l’Università “Vita e Salute San Raffaele” e che aveva collaborato alla VII “Cattedra dei non Credenti” nel 1994, da parte sua, insiste sulla necessità di «un’educazione al giusto sentire. Assistiamo oggi a scene sorprendenti, come Capi di Stato totalmente indifferenti alle norme del diritto, enormi violazioni che vengono passate sotto silenzio con una sorta di demolizione in atto di tutto ciò che avevamo costruito dopo la seconda guerra mondiale intermini di cosmopoli», osserva.
Gli fa eco Garzonio invitando a rileggere – «alla luce di quello che sta succedendo oggi a Milano e in Italia» -, le splendide espressioni che ebbe Martini nel famoso discorso del 2002 al Consiglio Comunale di Milano dove era stato invitato dal sindaco Albertini.
Appassionato e commosso è l’intervento di Enrico Letta, già presidente del Consiglio.
«Il cardinale Martini a Milano per me ha voluto dire tanto, perché il primo impegno fuori della mia città e della mia Diocesi di Pisa, a 15 anni, l’ho vissuto in questa città su invito del gruppo “Confronto”», dice, avviando la sua riflessione centrata sull’Europa e sulla città.
«L’Europa è il più grande esempio, nella storia e nella politica, dell’unità nella diversità. Il cardinale Martini, da questo punto di vista, è davvero profetico, perché nel suo ragionamento forte sull’Europa c’è l’evoluzione stessa dell’idea e del problema europeo. Egli aveva già chiarissimo che non ci si può più accontentare di spiegazioni fideistiche o della sola idea della pace come ragione della costruzione europea. Abbiamo bisogno di domande di senso sul perché stiamo nell’Europa di domani. Martini esplicita la necessità di un’Europa – in un mondo non più eurocentrico – unita, per essere rilevante: basti pensare ai mutamenti demografici, con la perdita di centralità europea. L’Europa significa potenza globale di valori, perché unicamente il nostro continente può giocare la grande battaglia per la centralità dell’uomo, sia in riferimento ai diritti umani classici che a quelli del futuro legati, ad esempio, alla tecnologia. La maggioranza del mondo non vive in democrazia, e noi siamo una piccola minoranza: se non abbiamo la forza di rivitalizzare tali valori i rischi sono evidenti».
Ovvio che tutto questo abbia strettamente a che vedere con la mobilità, l’immigrazione e la diversità nelle nostre città, come aveva già compreso il Cardinale «che ha fatto di Milano una capitale veramente morale, con capacità di guardare avanti e una politica progettuale in grado di vivere la prossimità. Il suo discorso era esigente – non nei toni, ma nella sostanza -, richiamando, come La Pira, la responsabilità del cristiano di fronte alle Istituzioni».
Il pensiero va alle Scuole di Formazione Socipolitica, da lui volute perché la politica è legata alla libertà e alla speranza.
“Il politico deve coltivare altri interessi, perché se al termine del suo impegno non abbia nulla altro da fare, questo sia un deterrente a lasciare l’impegno in politica”, scriveva l’allora Arcivescovo. La lezione non ha bisogno di troppi commenti. «Se la vita è solo politica, alla fine ci si inaridisce e questo genera sfiducia. Così, la politica la deve fare l’uomo della strada, meglio se incompetente. Uso questa occasione come un grido di allarme, perché con questa logica, stiamo distruggendo dall’interno la democrazia». L’ultima parola di Letta è però di speranza, «perché c’è un campo di battaglia, anzitutto culturale, da vivere nel cattolicesimo incarnato e la decadenza non è inevitabile».
Le conclusioni sono affidate al vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan, che sottolinea il significato dell’incontro come «riappropriazione di uno spazio della memoria»
«Martini da arcivescovo, alla vigilia del 2000, scrisse “Lasciateci sognare”. La categoria del sogno è fondamentale come esperienza per progettare. Come Diocesi, Fondazione Martini e Ambrosianeum, vogliamo vivere questo 40esimo come progettualità e non come commemorazione, avendo il coraggio di dire come abitare il futuro. Dobbiamo tornare a fare nostra una fede che si incarna con le forme di un mondo che cambia e sfruttare questo 40ennio per prendere slancio, avendo luoghi di seminagione perché questa ci aiuti a riconoscere le nuove forme della fede che lo Spirito sta generando tra di noi. I 200 anni di ritardo della Chiesa (notissima frase martiniana citata dal Papa), non vanno considerati in senso temporale, ma come una presa di coscienza del mutamento in atto della forma della Chiesa ».
E, alla fine, è la sorella del Cardinale Maris, a cui si deve la cura della bella mostra fotografica allestita nella sala, a ricordare il 93esimo compleanno del fratello (che sarebbe ricorso proprio il 15 febbraio). L’invito è a leggere la preghiera da lui composta per l’Europa: tutti in piedi la si recita coralmente.