Inizia da una cripta, nel cuore – identificato da Leonardo – della metropoli millenaria, all’incrocio tra il cardo e il decumano della Milano romana, la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani 2020. È, infatti, nella Cripta della chiesa del Santo Sepolcro che si ritrovano, per la Veglia di apertura dell’Ottavario, i Ministri, i rappresentanti, i fedeli delle 19 Confessioni aderenti al Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano. (Per tutti gli eventi della Settimana proposti nell’intera Diocesi, www.chiesadimilano.it e www.consigliochiesemilano.it).
«Benvenuti in questo luogo storico. Chiediamo che il Signore illumini il cammino per portare avanti il nostro grande desiderio di unità dei cristiani», dice il presidente del Consiglio Ecumenico, l’archimandrita Teofilactos Vitsos, del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Sono presenti, tra gli altri, il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan, in rappresentanza dell’Arcivescovo, il vicepresidente del CCCM, don Lorenzo Maggioni, e il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo dell’Arcidiocesi.
Posando i piedi sugli stessi lastroni marmorei, forse percorsi da Ambrogio e Agostino, ma certamente da san Carlo – che qui si raccoglieva in preghiera, ogni settimana, per l’intera notte del mercoledì -, respirando la radice comune, si sale, simbolicamente, dal buio del sottosuolo alla chiesa sovrastante con il suo grande emblema glorioso di risurrezione che domina l’altare maggiore.
Il saluto di apertura viene portato da monsignor Francesco Braschi, dottore della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana, che illustra alcune note storiche del luogo in cui ci si trova, prima della lettura del testo degli Atti ai capitoli 27,18-28, 10 in cui risuona l’espressione scelta per l’Ottavario, quest’anno, dai cristiani di Malta, “Ci trattarono con gentilezza”.
La vicenda è quella, drammatica, del viaggio di Paolo, condotto a Roma per esservi imprigionato, che, con altre 276 persone è in balìa del mare, fino all’arrivo fortunoso sulle coste maltesi, laddove, appunto, i naufraghi vengono trattati con gentilezza. Evidente il richiamo alle vicende di oggi, con le barche e barconi su cui si gioca la vita e la morte nel Mediterraneo, con le coste (quelle di Malta come d’Italia) che respingono o accolgono… E, poi, la barca che ricorda anche il “viaggio” ecumenico verso l’unità, talvolta lungo e faticoso, in cui si può essere tentati dalla sfiducia, ma che, comunque, deve essere ispirato dalla speranza.
Tutto questo sembra annodare, come un filo rosso, la Veglia, con l’immagine di una barca posta al centro, ai piedi dell’altare, che via via viene circondata da remi, con i quali ci si può aiutare, magari nella tempesta, e su cui sono scritte che parole chiave che guidano la Celebrazione.
Riconciliazione, luce, speranza, fiducia, forza, conversione, ospitalità, generosità: questi i termini brevemente spiegati a partire da singoli versetti di Atti e commentati, attraverso brani letterari, da ciascuna delle Chiese. Per la riconciliazione, si parla di Unione Europa, nata dal tentativo di riconciliare popoli divisi da guerre e odi antichi. Per l’ospitalità, risuonano in “San Sepolcro” poche righe dell’Eneide di Virgilio: “Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che ci nega persino l’ospitalità della sabbia, che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra…”.
Tra riflessione personale e comunitaria, preghiera condivisa, invocazioni, brani di elevazione musicale proposti con assoli di flauto e i canti eseguiti dal Coro dei “Focolarini”, si giunge al congedo, sottolineato da un’esecuzione del Coro russo del Patriarcato di Mosca a Milano.
E così, prima del saluto informale tra i partecipanti e della colletta raccolta all’uscita in favore della Fondazione “Casa della Carità”, ciò che rimane impresso nella mente e nel cuore sono proprio le immagini della barca in tempesta, della speranza nell’umanità, di un’accoglienza capace – come viene detto – «di far svanire le differenze e di radunare in unità persone profondamente diverse per cultura, ruolo, condizione. “Ci trattarono con gentilezza”: espressione dell’ospitalità, del rispetto, della generosità che dovrebbero accompagnarci, come Chiese, nel nostro cammino insieme e con tutti coloro che sono nel bisogno».