«Quando si parla di Seconda guerra mondiale e di papa Pacelli, torna spesso il termine “i silenzi di Pio XII”, a dire che il Papa, pur informato, avrebbe taciuto di fronte a questa tragedia. Da qui la caricatura di una sua definizione quale “papa di Hitler”. Pio XII non è mai stato il papa di Hitler e sapeva benissimo che, in caso di vittoria nazista, il Führer avrebbe regolato i conti con il cattolicesimo e fatto pagare cara ai cattolici la loro posizione». Andrea Riccardi, che nella sua veste di storico notissimo, firma il corposo volume La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei (Editori Laterza), frutto di 45 anni di studi, è molto chiaro nel delineare il senso del titolo del suo ultimo saggio che verrà presentato, con la partecipazione anche dell’arcivescovo, giovedì prossimo (vedi box a lato).
Come si può definire l’atteggiamento della Santa Sede durante la guerra?
Un atteggiamento prudente, imparziale. Una certa apologetica cattolica ha insistito sul fatto che il Papa non sapeva. Io non l’ho mai creduto: l’apertura degli Archivi Vaticani spiega quante informazioni fossero giunte in Vaticano. Gli archivi su cui ho potuto lavorare rivelano aspetti interessantissimi anche della Shoah di cui la Chiesa fu testimone. Credo che Pio XII non fosse certo di chi avrebbe vinto il conflitto in Europa e, quindi, progressivamente scelse di gettarsi a portare aiuto in qualche modo e non solo agli ebrei e ai rifugiati. È noto, d’altra parte, come i conventi di Roma dal settembre 1943 fossero divenuti rifugio per molti ebrei. In un certo senso, il suo silenzio era un modo di proteggere lo spazio di agire della Chiesa, un richiamo ai principi. Riteneva lui stesso di aver parlato abbastanza.
Non pensa che alcuni gesti, come aveva fatto Pio XI di chiudere i Musei Vaticani in occasione della visita di Hitler e di lasciare, per quei giorni del 1938, il Vaticano, avrebbero potuto essere indicativi, apparendo quasi come una scomunica?
Ricordo che Pio XI non disse una parola sulle leggi razziste in Italia. A un certo punto parlò contro l’antisemitismo ed è famosa la questione della cosiddetta sua enciclica nascosta e mai pubblicata, ma anche Pio XI ebbe i suoi silenzi. Io sono uno storico, non ho alcun interesse a giustificare o a salvare quella o questa figura specifica: il mio interesse è comprendere. Del resto, vediamo anche oggi le difficoltà di un papato tra Russia e Ucraina e di come la Chiesa debba utilizzare una certa prudenza quando parla di Paesi autoritari nei quali i cristiani possono essere un ostaggio. La condizione del Papa in una guerra mondiale è assolutamente drammatica, certo, e quello che voglio fare con il mio libro è uscire dal dibattito polemico e provare a capire cos’era il Vaticano allora: una barchetta nei marosi della guerra, l’unico spazio non nazista in un’Europa occupata dai nazisti.
Lei conclude il volume con tre parole: «Orrore, complessità e sconfitta». Perché e cosa significa?
Questo è un libro non solo sulla Chiesa o sul Vaticano, ma sull’orrore che fu la Shoah e l’orrore della guerra. Ed è una sconfitta per tutti: dell’umanità, della Chiesa, del mondo religioso, della cultura. Quella degli anni di guerra è, poi, una storia drammaticamente complessa. Secondo me, il silenzio che meno si spiega è nel dopoguerra, quando il Papa non ha mai parlato della Shoah, nemmeno per un’espressione di dolore e non ha mai approfondito il tema dell’antisemitismo. Ne ha accennato appena una volta, quando nel mondo cattolico si era diffusa l’idea che gli ebrei avessero “vinto”, per così dire, nei Paesi dell’Est. In particolare in Polonia, dove molti ebrei ricoprivano ranghi di responsabilità del Partito comunista, mentre in realtà la stragrande maggioranza della popolazione ebraica era stata eliminata attraverso i pogrom. È un altro silenzio di cui non si parla e sul quale bisognerebbe riflettere e approfondire: credo che sia questo il nostro dovere di storici.
Cosa occorre analizzare ancora della figura di Pio XII?
Ho provato a fare analisi iniziando negli anni ’70 e per me questo libro, che si fonda sugli Archivi Vaticani, è il coronamento del mio lavoro. Credo di aver fatto il mio sforzo per approfondire aspetti diversi anche in altri libri e altre ricerche. Ciò che occorre fare è eliminare, a ogni livello, le immagini stereotipate. Per me studiare la Chiesa e Pio XII è anche studiare il dramma della guerra. Così l’ho sempre visto, perché è dal campanile che si vede il mondo e non solo dall’interno della Chiesa.