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Percorsi ecclesiali

La Quaresima ambrosiana 2021

Sirio 18 - 24 novembre 2024
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21 marzo

Rendere buono il tempo dei giorni cattivi

Nell'omelia per la quinta domenica di Quaresima la riflessione dell'Arcivescovo si sviluppa a partire dal brano evangelico della Risurrezione di Lazzaro: «La sapienza che è Gesù ci convince che la vita vince la morte»

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

21 Marzo 2021
«Risurrezione di Lazzaro», Salvator Rosa (1650 circa)

«I giorni sono cattivi» (Ef 5,16)

I giorni sono cattivi, perché sono ostili al bene, al desiderio di stare bene, di essere in pace.
I giorni sono cattivi, perché sono abitati dalla minaccia del male, con qualsiasi nome lo si possa chiamare.
I giorni sono cattivi, perché uomini e donne diventano cattivi e invece di farsi del bene si fanno del male.
I giorni sono cattivi perché irrompe la morte e porta il pianto e la desolazione.
I giorni sono cattivi e non si sa dove sia Gesù: perché non si rende presente là dove la sua presenza sarebbe così necessaria? Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!

Comportandovi non da stolti, ma da saggi, facendo buon uso del tempo (Ef 5,15-16)

Ci sarà un modo per vivere bene il tempo quando i giorni sono cattivi?

La grazia di passare dalla speranza per sentito dire, alla speranza per incontro personale

La Chiesa che vive i giorni cattivi ha una verità buona da testimoniare. Di fronte alla minaccia più radicale alla bontà della vita, cioè la morte, noi accogliamo Gesù, la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore vivrà, chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Le sorelle di Lazzaro passano da una speranza per sentito dire all’incontro personale con Gesù che vince la morte.

La speranza in Gesù risorto è il mistero che celebriamo a Pasqua. Eppure i discepoli di Gesù sono imbarazzati non solo nel parlarne, ma addirittura nello sperare. C’è il rischio che la speranza per sentito dire non sia di nessun aiuto di fronte alle lacrime e alla disperazione.

Solo l’incontro con Gesù, se diventa reale, se diventa fede (Sì, o Signore, io credo…) se diventa amicizia e comunione può dare fondamento a una speranza affidabile, quella necessaria per vivere i giorni cattivi senza diventare cattivi, senza lasciarsi vincere dalla tristezza.

Ispirati dalla sapienza per essere saggi

Il tempo buono è dedicato al bene. Invochiamo la grazia di vivere bene il tempo che ci è dato, da saggi, non da stolti.

Una comunità unita nella preghiera e nella letizia: siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo (Ef 5,18-20).

Non siamo convocati per essere una comunità noiosa, triste, scontenta, divisa. La tradizione diventa talora una stanca abitudine, la conoscenza diventa talora un continuo ritornare sulle solite beghe.

Il dono dello Spirito ci rende disponibili al cantare per rendere grazie, perché siamo contenti, godiamo la bellezza di essere insieme, di essere uniti nel Signore, di dare testimonianza a tutti della nostra gioia per la presenza tra noi di Gesù risorto.

Siamo chiamati a vivere con sapienza, a non essere “sconsiderati”, per comprendere quale è la volontà del Signore.

La sapienza che è Gesù illumina la vita anche nei giorni cattivi.
La sapienza che è Gesù ci convince che la vita vince la morte.

Ci aiuta a tenere sempre presente che quello che conta di più: le persone contano più delle cose, la famiglia conta di più dei rapporti precari, il lavoro conta di più dei soldi, la lucidità è un bene, l’ebbrezza che perde in controllo è un male, la virtù fa bene, il vizio fa male, in ogni ambito della vita.

La sapienza che è Gesù ci insegna le parole buone che meritano di essere dette, le esperienze buone che meritano di essere vissute, il bene ordinario che merita di essere praticato,

Vivremo un tempo buono nei giorni cattivi, insieme con Gesù, risurrezione e vita.

Il grido: «Lazzaro, vieni fuori!»

Nel buio della notte, la figura di Gesù ammantata di rosso si staglia snella e guizzante come una fiamma: è lui la luce che squarcia le tenebre. A destra si accalca una piccola folla: uomini, donne, parenti e amici del defunto, ma anche semplici curiosi, pronti a commentare (e magari a sparlare). E poi in basso c’è lui, Lazzaro, l’estinto, il compianto, di cui non vediamo neppure il volto, avvolto com’è nel sudario, “sfigurato” dalla morte, cancellato dal mondo dei vivi.
È Salvator Rosa l’autore di questo vibrante dipinto: insolito, come suo solito. Un pittore vissuto nel Seicento, nato a Napoli pochi anni dopo la morte del Caravaggio, dotato di un talento straordinario e di un carattere inquieto, che aveva il culto dell’amicizia e che disprezzava ogni cortigianeria: un artista totale, che si esprimeva non solo con i colori, ma anche attraverso la musica e la scrittura.
Oggi Salvator Rosa è noto soprattutto per i suoi quadri di battaglie e di scene “pittoresche”, ma in realtà si è cimentato in diverse occasioni anche con i soggetti religiosi, e mai in maniera banale o scontata. Come rivela anche questa sua Risurrezione di Lazzaro, oggi in collezione privata, realizzata attorno al 1650, dove si riconosce l’influenza di maestri del nord Europa come Rembrandt (per nulla scontata in un pittore italiano dell’epoca).
Interpretando il racconto evangelico, Salvator Rosa colloca il sepolcro per terra, talmente in basso che Lazzaro sembra emergere letteralmente dal margine inferiore della tela. Il Cristo lo sovrasta, guardandolo come aveva guardato il cieco nato: e se a quello aveva ridato la vista, al fratello di Marta e Maria restituisce perfino la vita. Così che chiama il morto, «gridando a gran voce» e invitandolo con il gesto eloquente del braccio alzato: «Lazzaro, vieni fuori!».
Luca Frigerio

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