La gioia mendicata, cercata, voluta che diviene luce per quel cammino di vita e di fede dove ci si può incontrare e salutarsi con un “Rallegrati”.
Sono queste due parole – “gioia” e “rallegrati” – a guidare la Redditio Symboli, che, infatti, porta come titolo, nella sua formula inglese, la famosa frase di saluto dell’Angelo a Maria: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”, riportata nel I capitolo del Vangelo di Luca.
Per l’Arcivescovo, che presiede la Veglia in cui i 19enni consegnano la Regola di vita, è il primo incontro con i giovani che, in Duomo, arrivano in 5000, provenienti da ogni zona della Diocesi con i loro sacerdoti e gli educatori. In altare maggiore, accanto a monsignor Delpini, ci sono i responsabili del Servizio per i Giovani e l’Università, don Massimo Pirovano, della Sezione Università, don Marco Cianci, il direttore della FOM, don Stefano Guidi e l’assistente ecclesiastico diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, don Luca Ciotti.
Tra canti, riflessioni, la lettura della Parola di Dio e di brani di papa Francesco in Evangelii Gaudium e di Madeleine Delbr
l, si articola la serata ritmata da tre passi, “Riconoscere, Interpretare”, Scegliere”, che fanno da eco ai tre verbi scelti per il cammino dei giovani nell’Anno pastorale in corso, “Discernere, Accompagnare, Uscire”.
Un uscire che significa, insieme, aprirsi senza paure al mondo, ma anche aiutare i giovani a uscire da miti e false verità proposte dal nostro tempo, come suggerisce l’interrogativo da cui si avvia l’intervento dell’Arcivescovo.
La riflessione dell’Arcivescovo
«Dove andate, mendicanti della gioia? E alcuni forse della vostra età rispondono: “Noi non andiamo da nessuna parte, noi non mendichiamo più. Ci accontentiamo di molto meno. Noi sappiamo già troppo della vita, la gioia non esiste. Abbiamo già ricevuto troppe ferite, siamo già stati troppo ingannati».
E sembra di vederli, allora, questi ragazzi fuori dalle discoteche, con lo “sballo” del sabato sera che troppo spesso si trasforma in tragedia: «Noi, mendicanti della gioia, corriamo in massa là dove si vende l’eccitazione di una notte, basta un po’ di chimica, un po’ di musica e un po’ di gioco. Ci lasciamo travolgere dall’innamoramento di una stagione irripetibile e ci esaltiamo per l’euforia di una avventura che chiamiamo amore. Viviamo in uno stato di passione incontenibile sperimentando d’essere importanti per lui, per lei, scrivendo messaggi memorabili e sciocchezze irripetibili, struggendoci in attesa di un incontro, di una carezza, di una parola. Siamo invasi dalla gioia».
È di fronte a queste emozioni passeggere, contrabbandate per felicità, che il monito di Delpini si fa stringente: «Non c’è gioia vera e duratura senza l’annunciazione dell’angelo mandato da Dio, perché è Dio che conosce il segreto della gioia. Gioia che non si può ridurre a un momento di ebbrezza, a un versetto dentro a una canzone che inneggia alla felicità. Non c’è gioia senza fondare la propria vita sul Signore, non c’è gioia se la cerchi altrove. Non credere a chi ti induce a pensare che Dio voglia importi qualche limitazione della tua libertà. Ecco cosa ha da dirti, come prima parola, l’angelo mandato da Dio: rallegrati».
E, ancora, la seconda e la terza parola che indicano la grazia di essere figli di Dio – «perciò, non disprezzarti, non sottovalutarti, non dire: io non valgo niente» – e la vocazione ad essere alleati per la salvezza di tutti: «Tu hai un dono da offrire, hai la possibilità di dare un compimento alla tua libertà impegnandola per una missione, per un amore che abbia la tenacia, la profondità, la bellezza dell’amore di Dio». Quel Signore «della gioia, amico della giovinezza, via, verità e vita», per il quale in Duomo scende il silenzio dell’Adorazione eucaristica e che viene portato dall’Arcivescovo tra le navate con il Santissimo.
Poi, la consegna della Regola nelle mani dello stesso monsignor Delpini, dei 3 vescovi ausiliari, De Scalzi, Agnesi e Martinelli e del vicario episcopale Faccendini.
Infine è Lorenzo, uno dei giovani della Zona pastorale V che hanno preparato la Veglia, a strappare l’applauso convinto quando dice: «Mario, da stasera, non sarà più un nome comune per tutti noi».
E che non sia un incontro come tanti altri lo si capisce da un’ultima raccomandazione, anzi un «editto», come lo definisce scherzosamente l’Arcivescovo: «Mi sembra di poter dire che voi siete coloro su cui io posso contare. Giovani che stabiliscono un patto di amicizia e questo, al di là dei numeri, mi esalta. Vorrei, allora, emanare un editto: quando incontrate il Vescovo, il modo di salutarmi sarà “Chaire” che, in greco, significa “Rallegrati”, e io capirò che stasera eravate in Duomo, vi riconoscerò».