«Vorrei che la mia testimonianza fosse anche un’occasione di studio, perché di parole se ne sono dette tante, forse troppe, su questi ormai quasi due anni di pandemia». Il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, che parteciperà come rappresentante per la tradizione religiosa ebraica, dice così, riflettendo sull’intervento che proporrà nel contesto dell’evento del 27 ottobre.
Perché vorrebbe che fosse un momento di studio?
Perché approfondirò il Libro di Giona richiamato anche nel titolo dell’incontro con l’espressione “Il cuore del mare”. È un Libro in cui si parla di una catastrofe annunciata, la distruzione della città di Ninive, che, poi, in realtà non avviene. Sembra un happy-end, anche se le cose sono molto più complesse di come appaiono, ma l’idea che muove la logica del Libro è davvero importante e può dire molto.
In che senso?
Nel senso che tale idea è quella della teshuvà, di una conversione autentica, di un cambiamento vero e non esteriore. È la scommessa di Giona, ancora attualissima, che credo sia anche la nostra scommessa di oggi, è la speranza che possiamo avere: cambiare nel profondo del nostro cuore.
Lei ha commentato il Libro di Giona con i suoi studenti. I giovani sono sensibili, specie dopo la pandemia, a questi temi?
La mia esperienza mi dice che i giovani sono più ricettivi rispetto alle persone adulte, perché amano i mutamenti. La possibilità di poter cambiare, l’ipotesi che non ogni cosa sia cristallizzata una volta per tutte e già decisa li rende attenti e fa parte della loro vita.
La comunità ebraica di Milano come sta vivendo la ripartenza?
C’è certamente il desiderio di ripartire, specie nei ragazzi, appunto, tornando a fare cose che si facevano prima come, banalmente, incontrarsi a scuola e fare lezione in presenza, dopo quasi un biennio trascorso per lo più su Zoom o Facebook. In questo sento una richiesta molto forte, così come dal punto di vista spirituale, con la celebrazione del culto, che pure abbiamo ripreso già da tempo.