Chi sono i giovani che chiedono di entrare in Seminario? Quali sfide incontrano? Lo abbiamo chiesto a don Emilio Gnani, dell’équipe di Consulenza psicologica del Seminario. «I giovani che vogliono diventare preti presentano caratteristiche che possiamo riscontrare anche nei loro coetanei – spiega -: c’è un desiderio di felicità e di attenzione agli altri, ma vi sono anche fragilità che possono rendere più difficile la perseveranza in una scelta vocazionale. La persona matura è colei che sa riconoscere le proprie difficoltà e le fa diventare occasioni di crescita: per questo possiamo guardare con fiducia ai giovani seminaristi. Viviamo inoltre un cambiamento di epoca in cui viene meno un determinato ruolo sociale che in passato garantiva al prete un prestigio e una certa rilevanza. Un giovane che oggi entra in Seminario è chiamato a consolidare un’esperienza spirituale che lo aiuti a rimanere aperto e interessato al mondo, ma profondamente radicato nella fede, ad accettare con sufficiente pace di appartenere a una Chiesa progressivamente in minoranza, ma che ha ancora una Parola di vita e di speranza da annunciare al mondo».
Su quali aspetti è bene concentrare l’attenzione negli anni del Seminario?
Nell’esperienza dell’accompagnamento psicologico riscontriamo l’importanza di una rilettura della propria vita, su tutti i fronti. Ci sono alcuni ambiti che si rivelano di particolare interesse da un punto di vista formativo. Il rapporto con la propria famiglia e con la propria comunità di appartenenza: è importante saper sostenere la fatica di una separazione per giungere a una conoscenza più profonda di sé; la capacità di vivere relazioni inclusive e disinteressate: il prete si pone al servizio della comunione e deve saper interagire con persone diverse per età, ruoli e condizioni di vita; la rivisitazione della propria storia affettiva/sessuale, per comprendere meglio le motivazioni che spingono un giovane a scegliere il celibato e a valutarne la sostenibilità.
Come affrontare la formazione nell’epoca dei social media?
La cultura digitale plasma una vera e propria “antropologia”: che ci piaccia o no, questi strumenti favoriscono un certo modo di vivere il tempo, lo spazio, la memoria, i sentimenti e le emozioni, le relazioni. Piuttosto che demonizzare, si tratta di formare e di educare, favorendo una conoscenza sempre più realistica dei processi già in atto e incoraggiando scelte di libertà. La preghiera, lo studio, la gestione del tempo libero, il rapporto con l’autorità, il racconto di sé sono tutte esperienze in cui i giovani hanno bisogno di essere accompagnati perché questi strumenti le hanno profondamente cambiate.
Come viene accolta la proposta di una consulenza psicologica in Seminario?
In questi anni ho riscontrato positivamente in molti seminaristi la curiosità e il desiderio di conoscersi, di affrontare i loro dubbi e le loro domande. Molti comprendono che non è sufficiente proclamare dei valori per viverli, ma che è importante approfondire le motivazioni che spingono a fare una scelta. La disponibilità al confronto e la sincerità nel farsi conoscere sono segni positivi che rivelano un processo di crescita avviato; quando invece permangono una certa rigidità che sfocia nella lamentosità o nella critica, oppure una certa passività che tende a favorire il disimpegno, è difficile immaginare che un seminarista o un prete possa vivere contento.
Quale rapporto tra Seminario e Formazione permanente del clero?
In questi anni si è intensificata la collaborazione che ha permesso ai diversi soggetti impegnati nella formazione dei seminaristi e dei preti dei primi anni di ministero di confrontarsi su molti aspetti. È necessario proseguire su questa strada, perché non esiste un solo tempo di formazione, ma ogni stagione della vita va accolta e riconosciuta come formativa.