Venerdì 28 gennaio, presso Palazzo Lombardia, è stata firmata un’intesa importante e che offre nuovi scenari di collaborazioni future per la salvaguardia del patrimonio culturale ecclesiastico della Lombardia. A siglare l’accordo Regione Lombardia, rappresentata dall’assessore alla Cultura Stefano Bruno Galli, su delega del Presidente Attilio Fontana, e per la Regione Ecclesiastica Lombarda, monsignor Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia e delegato della Conferenza episcopale lombarda per i Beni culturali.
Tra i presenti all’incontro monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale, che così riflette sul significato della stipula: «È un accordo-quadro che, sostanzialmente, concede a noi, come cristiani, soprattutto come diocesi e come Chiese della Lombardia, di poter partecipare ai bandi dell’Unione europea che consentono di accedere ai fondi previsti dall’Unione stessa per il mantenimento, la custodia e la promozione del patrimonio culturale, ossia di tutto ciò che si è generato e costruito nei secoli passati come testimonianza di fede. Una testimonianza, questa, che va tuttavia al di là della dimensione ecclesiale perché, riuscendo a salvaguardare questi beni, possiamo aiutare tutti – anche i non credenti o chi appartiene ad altra religione o etnia – a comprendere cosa i cristiani abbiano voluto fare realizzando opere ed edificando monumenti».
È la prima volta che le Chiese lombarde siglano questo genere di accordo?
Sì e si apre, almeno per noi come Chiesa, un cammino nuovo. Il cambiamento profondo, che è sotto gli occhi di tutti, comporta anche un ridimensionamento delle energie che abbiamo a disposizione per preservare il valore culturale della nostra tradizione. Diminuiscono i sacerdoti e i battezzati, ma rimane intatta la nostra intenzione di salvaguardare e mantenere al meglio ciò che ci hanno consegnato le generazioni precedenti.
L’accordo arriva dopo un lungo percorso: quali le tappe più significative?
Il lavoro preparatorio è stato in effetti lungo, perché l’Unione Europea, pur impegnata da anni nella salvaguardia del patrimonio artistico e dell’identità delle varie culture europee, rappresenta un mondo con il quale, come cristiani, abbiamo imparato a rapportarci non da molto tempo. Ma sono convinto che così si aprano – come detto – spazi nuovi e promettenti per raccontare la nostra fede anche attraverso la bellezza.
Secondo lei c’è un comparto nel settore dei beni culturali sul quale bisognerà agire subito?
Le prime emergenze culturali riguardano quelle che vengono chiamate le periferie, anche a livello di esperienza sociale e di fede. Per esempio, come Diocesi, abbiamo ricevuto un patrimonio religioso che è custodito nelle valli e nei luoghi campestri e che corre il rischio di essere abbandonato perché la gente non abita più in quelle zone, essendo attratta dalla metropoli e dai centri urbani. Dobbiamo essere in grado di preservare quelle testimonianze ormai poco conosciute, ma che sono comunque capaci di accendere la meraviglia e lo stupore in quanti si recano a visitarle e che magari, proprio a partire da tali scoperte, accedono a un’esperienza di fede: un nome per tutti, lo splendido complesso abbaziale in stile romanico di San Pietro al Monte sopra Civate.
Cosa vi aspettate da questo accordo nel breve e medio termine?
Vorrei fare riferimento a tre risultati che auspichiamo. Il primo a livello, potremmo dire, istituzionale: ossia, ampliare la capacità che le Chiese hanno di presentarsi a un mondo poco frequentato, quello appunto delle istituzioni nazionali ed europee, sapendo raccontare la nostra tradizione come patrimonio culturale. Il secondo riguarda le Chiese stesse. Infatti occorre aiutare noi cristiani a capire che la dimensione culturale è ciò che definirei un «substrato sedimentato», fatto da muri, dipinti, quadri, edifici, ma che esprime qualcosa di molto più profondo e interiore che ha bisogno di strumenti esteriori per essere raccontato. Il terzo esito auspicabile è mettere in campo una capacità narrativa di cosa la fede cristiana opera all’interno dell’esperienza umana e sociale, cioè far vedere cosa la fede, incarnandosi, riesce a trasfigurare anche in una società plurale come quella che si sta realizzando a Milano e in Lombardia.